giovedì 27 febbraio 2014

Pompei: Giove Ottimo Massimo, perdonali perché non sanno quello chefanno!

Avvertimento allo spettatore: nessuna speranza.

 By SisterOfDemons

La trama di Pompei (2014, Paul W. S. Anderson) non è piena di buchi, in realtà è un enorme buco con dei pezzi di trama.
Dopo aver fatto questa fondamentale precisazione devo aggiungere che assolutamente non mi aspettavo il capolavoro. In effetti non mi aspettavo nemmeno un film bello, ma nemmeno un film decente, solo il classico giocattolone pieno di fuochi d'artificio, mazzate (ce ne sono abbastanza!) e poco di più, veramente.
Questo film rasenta l'orrido ed è intriso di un sacco di comicità, ahimé, involontaria. 
Senatore Quinto Appio Corvo
Non sto qui a raccontare la trama (ma quale trama?), basti sapere che c'è Milo (Kit Harington) , un celta che bazzica le arene da un po' ed è l'ultimo rimasto di una "dinastia" di allevatori di cavalli. Bene, Milo (a proposito Kit, complimentoni vivissimi per gli addominali scolpiti) è il classico sbruffoncello che ama deliziare il pubblico con battutone del tipo "Chi muore nell'arena muore da uomo libero" e altre massime altrettanto scontate. Bene, quando la patrizia Cassia (Emily Browning) sta tornando da Roma  a Pompei, il suo cavallo inciampa, e indovinate chi si trova a passare da quelle parti??? Esatto, proprio Milo; che in pieno stile "Fate largo, adesso ci penso io", pone fine alle sofferenze della povera bestia. Da quel momento in poi Cassia si incapriccia del gladiatore (E sì, quando Milo è nell'arena la gente fa ovviamente tifo da stadio, al grido di "Celta, celta", che inquietantemente mi ricorda il famoso "Ispanico" di Decimo Massimo eccetera eccetera) e ce li ritroviamo in mezzo a ogni pié sospinto, e fin qui tutto bene, sarebbero anche i protagonisti. A mettere i bastoni tra le ruote ai due giovani è il cattivone di turno, tale corrotto senatore Quinto Appio Corvo (Kiefer Sutherland), che sbatte in faccia a tutti il famoso "Lei non sa chi sono io" e che aveva puntato Cassia quando lei era ancora a Roma.
Kit e Gli Addominali di Kit
I dialoghi sono scontati quando va bene, (Senatore: "Sei coraggioso, lo riconosco, ma nessun selvaggio potrà mai sconfiggere un romano!" Milo: "E venti selvaggi ce la fanno?"), agghiaccianti quando va male ("Quelli che vanno a morire ti salutano". Really? Siamo così cretini da non riuscire ad afferrare il buon vecchio "Ave Cesare, morituri te salutant"? Io non credo, ma comunque...).
Ogni tanto, giusto per ricordare che è un film sull'eruzione del Vesuvio, c'è la terra che trema. Tutti sono spaventati a morte, tranne il best friend forever di Milo, Attico (Adewale Akinnuoye-Agbaje. Non so cosa ho scritto...) che liquida il tutto con "Tranzolli, è solo la montagna".
Proprio ad Attico va il premio per la morte più divertente. Intorno a lui c'è lo sfacelo totale, lava, lapilli, morti, urla e grida, lui si ferma ed esclama: "Quelli che vanno a morire ti salutano. MUOIO DA UOMO LIBERO" e poi sbam, la lava se lo inghiotte, tipo la classica scena dell'autobus che investe il passante. Comico.
Attico e Milo
Tutto il resto del film consiste sostanzialmente in battute che non fanno ridere nemmeno i dementi, Milo e Cassia che pomiciano, lava, gente morta, combattimenti nell'arena, fumo, lava, fumo.
Nelle ultime scene si consuma il dramma.
No, non mi riferisco alla storia, ma sempre ai disastrosi dialoghi ("Forse non te ne sei accorto, ma i miei dèi sono venuti a prenderti", oppure "Vai!" "No, io non ti lascio qui!" "Guarda me, solo me").
Dopo un'ora, trentasei minuti e dodici secondi, il misericordioso Vesuvio, ringraziando Giove Ottimo Massimo, pone fine alle indicibili sofferenze dei protagonisti e alle ancor più indicibili sofferenze dello spettatore.
La recitazione è un pianto amaro, nessuno brilla per bravura, i personaggi, seppur presentati con un minimo di background, come nel caso di Milo, sono profondi quanto una pozzanghera, tristemente bidimensionali, stereotipati all'ennesima potenza. 
Milo e cassia
Gli effetti speciali lasciano abbastanza a desiderare. L'unica cosa su cui alla fine possono puntare i film di questo genere, qui è stata trattata in maniera alquanto scarsa, in un punto o due mi è addirittura sembrato di intravedere i green screen dietro ai protagonisti, e in un certo momento, sono sicura perché ho rivisto il pezzo in questione più volte, c'è del fumo fermo alle spalle di Attico. Fermo. Il fumo.  

Ogni volta che in un cinema viene proiettato Pompei, da qualche parte un Bruno Heller muore.



venerdì 21 febbraio 2014

L'uomo che odiava Sherlock Holmes: maneggiare con cura (è scritto da un americano!!!)

Copertina del romanzo
by SisterOfDemons
(Attenzione. Il post contiene spoiler, ma ritengo di esser stata veramente magnanima, in quanto non ho scritto chi è l'assassino!!!)

Da buona amante degli inquilini di Baker Street mi sono approcciata con un certo distacco e una certa freddezza a “L’uomo che odiava Sherlock Holmes” di Graham Moore, romanzo letto ormai un po' di tempo fa. Ciò che mi aveva incuriosito era stato proprio il titolo (che tra l’altro pensai avessero assurdamente tradotto: l’originale inglese è “The Sherlockian” ossia il fan, non l’hater, ma passiamo avanti).
Arthur Conan Doyle
So che esistono romanzi apocrifi con protagonista Sherlock Holmes, ecco, quelli, di cui non so e non voglio sapere niente, li avrei decisamente lasciati sullo scaffale della libreria, ma in questo caso mi trovai a fare un'eccezione, in quanto il protagonista non è Sherlock Holmes, bensì direttamente il suo creatore.
Tra i personaggi del libro (che ha doppia ambientazione temporale, ovvero inizi del '900 e 2010) oltre allo stesso Arthur Conan Doyle, figura il suo amico (e noto scrittore, anche se all’epoca in cui si ambienta il romanzo è ancora solo un frustrato impresario teatrale) Bram Stoker e il contemporaneo Harold White, membro dell’esclusivo gruppo degli “Irregolari di Baker Street”, un ventinovenne un po’ asociale e sfigatello a cui si unisce in seguito la misteriosa giornalista Sarah.
I fatti narrati sono chiaramente di fantasia, anche se attingono in parte alla vita del reale Arthur Conan Doyle, che fu preda di un brutto calo di popolarità, cominciato da quando aveva deciso di uccidere la sua creatura più famosa. Qui finisce la base storica e inizia la discesa nella fantasia più sfrenata (e a volte non nego, anche perversa e "da presa per il culo") di Moore. 
Bram Stoker
Agli affezionati lettori di ACD non era piaciuto affatto il modo in cui aveva liquidato Sherlock, perciò Arthur non si stupisce molto quando riceve un pacco esplosivo: qualcuno sta tentando di spaventarlo, m,a lui è deciso a non farsi prendere dallo sconforto, così, assieme al summenzionato amico Bram Stoker (l’autore fornisce un’immagine simpatica e un po’ triste del papà di Dracula, a mio avviso l'unico vampiro letterario degno di essere esposto nella mia libreria) comincia a indagare, ma viene presto consultato da Scotland Yard a proposito di una serie di efferati omicidi che coinvolgono giovani donne fatte passare per prostitute.
Sono rimasta parecchio stupita dal modo in cui Moore aveva descritto Conan Doyle, mi pareva che qualcosa non tornasse e che gli fosse stato fatto un grave disservizio, così ho fatto qualche ricerca e ho scoperto di avere un’idea completamente sbagliata dello scrittore: in realtà, come scrive giustamente GM, Conan Doyle è un uomo un po’ antipatico, profondamente convinto della superiorità maschile, con un disprezzo per quasi tutte le donne eccetto la moglie malata Touie e il suo amore platonico Jean. 
Ma torniamo alla storia: convinto di possedere le stesse capacità investigative di Holmes, Conan Doyle si mette a giocare al detective e dopo qualche tempo apprende che c’è un collegamento tra il pacco bomba inviatogli e le donne uccise: ci sono di mezzo le terrificanti suffragette che sono secondo Doyle l’undicesima piaga d’Egitto. (L’episodio descritto nel libro è puramente di fantasia, ma è vero che all’epoca Arthur Conan Doyle ha collaborato spesso con Scotland Yard, ottenendo però, a differenza di quanto narrato nel libro, dei risultati alquanto deludenti.).
Holmes e Moriarty alle Cascate di Reichenbach,
 illustrazione di Sidney Paget
Nel presente invece l’uomo del momento è Harold White, ritrovatosi (non troppo "suo malgrado", in quanto, come si suol dire, ci inzuppa il pane) a indagare sull’omicidio di Alex Cale, studioso di Conan Doyle e presunto scopritore del diario perduto dell’autore. Secondo alcune supposizioni, il diario (che nel racconto esisterebbe davvero, senza essere mai realmente saltato fuori) avrebbe dovuto contenere la descrizione del celeberrimo “Grande Iato” ossia quel lasso di tempo che va dalla “morte” di Sherlock Holmes alle cascate di Reichenbach alla sua ricomparsa nel caso del mastino dei Baskerville.
Anyway, il giorno della presentazione di questa “sacra reliquia”, Alex Cale viene trovato morto nella sua camera d’albergo, strozzato con un laccio di scarpa. Harold, che in realtà è un ragazzo geniale, ma ingenuo e sognatore, viene preso da una frenesia incontenibile e avvia un’indagine parallela a quella ufficiale. L’omicidio, Harold presume, è opera di uno sherlockiano: solo così riesce a spiegare alcuni indizi, tra i quali spicca una parola scritta sul muro col sangue della vittima: “Elementare” (Graham, madonna che fantasia, ti sei sprecato!).
Harold viene dunque ingaggiato da Sebastian Conan Doyle (discendente di Arthur) affinché recuperi il diario, che nel frattempo è sparito, e lo restituisca al legittimo proprietario.
Le indagini di Arthur e Harold si svolgono quindi in parallelo; entrambi giungono a sconvolgenti rivelazioni: Conan Doyle capisce che in realtà sente la mancanza della sua creatura più di quanto pensasse possibile; è vero, in un certo momento della sua vita ha odiato profondamente Sherlock e il fatto che la fama di quest’ultimo superasse la sua (da qui la traduzione italiana del titolo, che stando così le cose acquista un senso) lo ha profondamente irritato, ma è ora di gettarsi tutto alle spalle e far “risorgere” l’inquilino del 221B di Baker Street. Ciò che lui ha scritto nel diario quindi, potrebbe irrimediabilmente rovinare la reputazione di tutte le persone coinvolte nei fatti narrati, così Bram Stoker, per proteggere un po’ tutti quanti, all’insaputa di Arthur fa sparire l’oggetto incriminato.
Illustrazione di Sidney Paget, Strand Magazine
Ciò che Bram ha nascosto nel passato, viene ritrovato da Harold e Sarah nel presente.
La storia si interrompe qui, con i due che sul suggestivo sfondo delle cascate di Reichenbach si accingono a leggere gli eventi del cosiddetto “Grande Iato”.
Che dire, questo libro certamente è anni luce dall'essere un capolavoro, ma tutto sommato è scritto benino. Mi addolora il fatto che ci sia una serpeggiante scarsa considerazione per il povero John Watson, (anche se il binomio Holmes - Watson si riflette un po' in quello ACD - Stoker, con quest'ultimo nei panni del povero scemo che alla fine però salva la baracca) e la cosa ha contagiato anche me, in quanto non l'ho nominato per niente. Scusa caro. Prende allegramente in giro gli ossessionati di Sherlock Holmes, in pratica descrive un "fandom" dilaniato dalle lotte interne (mmm, mi ricorda qualcosa...) e da gente che ci crede veramente. Nonostante tutto è una lettura simpatica, uno svuota-cervello con poche pretese, impreziosito da citazioni dell'opera originale. In fondo il suo protagonista (quello contemporaneo) è un nerd asociale, scialbo ma genioide, che alla fine si becca la gnocca della situazione. 
Graham Moore è americano (sceneggiatore di The Imitation Game, il film con Benedict Cumberbatch nel ruolo di Alan Turing. Quando si dice la coincidenza...) e io rimango fermamente convinta che gli americani dovrebbero essere puniti ogni volta che toccano qualcosa di inglese, perché in un modo o nell'altro lo distruggeranno, però in questo caso non posso dirgli più di tanto, in quanto trovo che alla fine lo spirito di Arthur Conan Doyle sia stato essenzialmente rispettato, anche se, devo ammetterlo, in qualche occasione si scivola tristemente nell'americanata.

lunedì 17 febbraio 2014

Monuments Men: l'altro volto della guerra (e della pace)

Dopo molta, moltissima attesa sono andata a vedere finalmente il nuovo film di George Clooney, "Monuments Men".
Oh, non fate quella faccia: sì, all'urlo "George Clooney is inside!", è vero, io scapperei nella direzione opposta, neanche avessi sentito "Jumanji!", ma questa volta avevo tre buone ragioni per vedere il suo film: la mia passione per l'arte, per Jean Dujardin e last but not least Hugh Bonneville.


Lo so, è incredibile: George Clooney dimostra i suoi anni!


In un panorama cinematografico mondiale in cui film e serie tv sulla seconda guerra mondiale piene di combattimenti, morti, esplosioni, in cui la violenza viene mostrata più o meno gloriosamente, e più o meno sensatamente, Monuments Men si inserisce in una posizione assai curiosa.
Il film è tratto da una storia vera: un piccolo, minuscolo commando di uomini che nulla o poco avevano di militare accorrono in salvo delle opere d'arte che Hitler sta razziando in lungo e in largo (anche se principalmente si parla di Francia, Belgio e Italia).
Di criticismi facili se ne possono snocciolare quanti volete: vale davvero più un'opera d'arte di una vita umana? Tutta questa sognata arte è molto ristretta ad opere occidentali, siamo sicuri che sia rappresentativa? 
Non credo però sia questo il punto principale, o meglio, non quello che qualifica questo film come un buon film.

Copertina originale del libro da cui è stata tratta la storia

La bravura di Clooney (a cui, giuro, non avrei dato un penny) è stata quella di mostrare molta umanità, e di farlo in maniera delicata, senza strafare ma neanche sottovalutare.
Tutti i 7 anzi 8 monuments' men e 1 monuments' woman sono persone che con la guerra non hanno avuto a che fare direttamente: sono uomini (e una donna) con tutta la loro serie di difetti, dalla testardaggine alla boria, da un passato di alcolismo a una certa diffidenza e pregiudizio, ma non puoi fare a meno di volergli bene, di preoccuparti per loro, perché sai che è quasi sicuro che faranno qualche stupidaggine. 



Una cosa che per me, come appassionata di arte è scontata, viene presentata come tale anche nel film: se distruggi la cultura di un popolo è come se lo avessi ucciso davvero. È un messaggio che in un ambiente soprattutto come quello italiano in cui la cultura viene presentata come qualcosa di noioso, senza futuro e senza utilità, dovrebbe essere il più possibile diffuso e capito. 

I veri Monuments Men che recuperano l'autoritratto di Rembrandt (la scena è presente anche nel film)

Il film non scade mai nel melodramma palese, anche se ci sono dei momenti commuoventi, come ad esempio i "saluti di Natale" della famiglia dell'architetto interpretato da Bill Murray o come la lettera scritta da Bruges dal tenente ex alcolizzato di Hugh Bonneville (che, permettetemi di sottolinearlo era morbidissimo e l'ho adorato!). Ci sono inoltre delle scene molto divertenti e per nulla patetiche dettate dal contrasto tra le personalità dei vari soggetti che si ritrovano a dover viaggiare insieme, e dal contrasto tra la loro inadeguatezza e direi ingenuità e la bruttezza della guerra.



Menzione d'onore all'unica donna del cast con un ruolo importante, Cate Blanchett: non predomina sugli altri in nessun modo, è forte e tenace ma sa essere anche molto femminile senza per forza mostrarsi vulnerabile.


Il mio consiglio è insomma di andare a vedere questo film, perché anche se non sarà un capolavoro della storia del cinema, è molto godibile e rappresenta una buona occasione per riflettere su qualcosa di importante senza venirne appesantito o annoiato!

mercoledì 12 febbraio 2014

Anna Karenina: quando anch'io avrei voluto buttarmi sotto un treno

    

    

By SisterOfDemons

Prima di dire ciò che penso su questa trasposizione di Anna Karenina (s'è capito dall'immagine che è la versione 2012 di Joe Wright), ho necessariamente bisogno di fare alcune premesse:
1)Gli scrittori russi li trovo un po' indigesti, perciò confesso di non aver letto Anna Karenina (ce l'ho pronta nel Kindle, ma mi sto ancora riprendendo da Guerra e Pace, per cui non penso che prenderò questo libro in mano tanto presto). 
2)Non sono un'esperta critica cinematografica, non capisco nulla di nulla nel senso tecnico della faccenda. Ciò che riporto sono le mie opinioni, legate esclusivamente al mio gusto personale.
3)Mi sento anche un po' scema, perché il film ha generalmente ricevuto critiche positive mentre a me ha fatto schifo dal più profondo del cuore (tranne alcuni elementi che comunque ho apprezzato), quindi forse sono io che non l'ho capito.
Ho deciso di guardare questo film dopo aver visto la pedestre fiction di Rai 1 (quella con la Puccini e con Santiago Cabrera, per intenderci) che comunque mi era piaciucchiata e che, sebbene presentasse tutti i difetti delle fiction di casa nostra, alla fine era riuscita a conservare una certa dignità.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare e diciamo subito che il film è decisamente su un altro livello su praticamente tutti i fronti, primo su tutti quello della recitazione (per dire, pure la Knightley, che non sopporto, si è comportata bene e non mi è dispiaciuta). Il cast era di ottimo livello (almeno sulla carta). Jude Law è sempre Jude Law, anche Bill Weasley (pardon, Domhnall Gleeson - non so dove va posizionata l' "h" del nome e non mi va di controllare, abbiate pietà) fa il suo dovere, Matthew Macfadyen è uno dei miei orsacchiottoni preferiti, quindi figuriamoci se dico parole cattive su di lui. Quella che interpretava Kitty nemmeno mi ricordo come si chiama, perciò secondo i miei parametri questa cosa dimostra una certa insulsaggine attoriale. La vera nota dolente è per me rappresentata dal gerontofilo Aaron Taylor-Jonson, o come lo chiamo io "Quello sposato con la vecchia" (blablabla l'amore non ha età, in fondo hanno solo ventitré anni di differenza eccetera eccetera. Ok, io non sono open minded e certe cose mi fanno storcere il naso, sono colpevole. Direi la stessa cosa a ruoli invertiti, i signori che si fanno le fidanzate con la metà dei loro anni mi fanno ugualmente storcere il naso, ma non divaghiamo). Il poverino secondo me ha avuto per tutto il tempo un'aria poco convinta, gli leggevo negli occhi un certo terrore, una sorta di "Oddio adesso cosa devo fare, qualcuno mi dica cosa devo fare!". Boh, ripeto, non avendo letto il libro non so dire, magari il personaggio andava caratterizzato esattamente così, non so.
Musiche di Dario Marianelli, per cui niente da dire, costumi che mi sono piaciuti assai ( c'è scappato anche un Oscar, se non ricordo male), per cui niente da dire.
Quello su cui ho un sacco da dire è invece l'impostazione teatrale che perseguita il povero spettatore per tutto il film (con povero spettatore intendo me). Questa scelta mi ha dato estremamente fastidio a livello mentale, non riuscivo a seguire bene quel che succedeva (forse sono tarda io), e dire che la storia la conoscono tutti, anche quelli che, come me, escono raramente di casa. Gli ambienti mi sono sembrati troppo soffocanti e chiusi, mi facevano venire male al cervello. Ho capito solo che se sei alla stazione basta salire quattro gradini per ritrovarti in una sala da ballo. 
Leggendo in giro ho invece notato che ai più quel che è piaciuto e stata proprio questa originale scelta di conferire al film un aspetto da spettacolo teatrale. Ecco, ci mancavano solo gli omini che passavano la scopa sul palco affinché is allestisse la scena successiva. 
Alla fine di tutto l'ambaradan ero talmente stremata che ho favorevolmente accolto il suicidio di Anna, avrei tanto voluto buttarmi sotto il treno anch'io. 
Già Anna è una rompipalle patentata che avrei voluto prendere a sberle a quattro a quattro finché non fossero diventate dispari, tutti quegli scenari cangianti, rotanti, allucinanti e allucinati sono stati per me il proverbiale chiodo sulla bara.
Apprezzo il teatro e apprezzo il cinema, ma ho capito con questo film che non li apprezzo contemporaneamente. Questo intreccio di ambientazioni e stili, che voleva essere una scelta innovativa e fresca, mi è sembrato decisamente inadeguato alla situazione, nel senso che con un altro film avrebbe anche potuto essere una buona opzione, ma qui, sempre secondo me, ha inutilmente appesantito un soggetto che già di suo non era tra i più allegri e spensierati da guardare.
Guardare questa Anna Karenina qui è stata una faticaccia estenuante, avrei apprezzato sicuramente di più una versione più "classica". Non posso proprio fare a meno di pensare che senza quello sfondamento della parete (ok, non so cosa sto dicendo ma morivo dalla voglia di scriverlo. Ecco vedete, pure solo ripensare a questo film mi confonde) il film sarebbe certo stato sicuramente meno innovativo e fresco e attira-giovani-hipster, ma decisamente più godibile. 

   
    


Oh, quasi quasi vado a riguardarmi la versione pedestre, ingenua e innocentemente bruttarella di Rai 1, almeno c'è  qualcosa di bello da contemplare senza essere distratti dalla scenografia (e no, non sto parlando di Vittoria Puccini, no, anche se poi alla fine Santiago lo preferisco in versione Aramis, sia ben chiaro. Così tutto sbarbato non è che mi dica molt,, ma è pur sempre visivamente più credibile di Aaron "Gerontofilo" Johnson...).





domenica 9 febbraio 2014

Top six: gli attori britannici che non volete perdervi

by Jane Doe

Saranno duetre settimane che pianifico di scrivere questo post, ma essendo una procrastinatrice professionista ovviamente ho sempre rimandato a "dopo".
Dunque, visto che dopo un altro processo di brainstorming degno di una campagna marketing la sorellanza anglofila ha unanimamente deciso di scrivere una (lunga) serie di classifiche, io ho pensato di aprire le danze con la mia, e dato che sono una povera ragazza single e che mi consolo del fatto cibandomi di film a volte anche di dubbio gusto per il mio bene, direi di partire con una top six di attori dal pedigree assolutamente britannico (probabilmente sarà seguito da uno di attrici, per la par condicio) che vedrete quest'anno al cinema (ma anche in TV) e che, fidatevi: non volete perdervi. 

1. Peter Capaldi



Ce lo stiamo gustando proprio in questo periodo, nel ruolo del Cardinale Richelieu nella serie tv BBC The musketeers; l'abbiamo visto al cinema in The fifth estate e World War Z (e per chi sta per protestare su quest'ultimo: nella premessa ho scritto "di dubbio gusto" per un motivo), e ancora in TV nelle serie tv (diciamolo insieme) BBC The hour e The thick of it, rispettivamente nei ruoli di Randall Brown e Malcolm Tucker, il ruolo che l'ha davvero "reso famoso". Comunque non mi sento a posto con la coscienza se non vi dico anche che ha scritto e interpretato (al paese mio se dice "se la canta e se la sòna") "Soft top hard shoulder" (che merita il vostro tempo), che l'avete visto anche nel ruolo di Jean Cocteau in Modigliani - I colori dell'anima e che a fine Agosto (e personalmente quest'ultima cosa non mi fa stare nella pelle) debutterà come 12 Dottore nell'8 stagione di Doctor who. Ha vinto un Oscar al miglior cortometraggio nel 1995 per la regia di Franz Kafka's It's a Wonderful life. 
Questa snocciolata solo per dirvi che, insomma, non è il primo idiota sulla piazza. Anzi, a voler essere completamente sinceri, l'uomo è un fenomeno. 
Io l'ho "scoperto" (si fa per dire) perché sono appunto una grossa fan di Doctor who, e quando è uscita la notizia che lui sarebbe stato il nuovo protagonista avevo un vuoto cosmico sulla sua identità, che in questi mesi sto cercando di colmare (ma non sono nemmeno a metà dell'opera. Come dice saggiamente la nostra Michela "la filmografia di Capaldi è un buco nero"). La notizia che lui sarebbe stato il 12 Dottore mi aveva comunque lasciato con una certa diffidenza: non sapendo chi fosse, ed essendo molto affezionata all'attore che è stato il protagonista per ben tre stagioni, non ero disposta a fargliela passare liscia. Poi ho visto Inside the Mind of Leonardo, un documentario di Sky Art in cui il caro Peter interpreta Leonardo Da Vinci (a mio parere uno dei più grandi geni che il mondo abbia mai visto, insieme a Shakespeare e Einstein) e quando mi ha lasciato a bocca aperta semplicemente declamando la lista della spesa di Leonardo ho deciso che i giudizi affrettati sono proprio una brutta bestia.
Vi faccio un riassunto: Soft top hard shoulder; The hour (stagione 2); Inside the mind of Leonardo. Questi sono, a mio parere, i vostri must see per conoscerlo, anche se poi in realtà più roba reperite e vedete e meglio sarà.
Trivia: Capaldi è in realtà laureato in disegno alla Glasgow School of Art, e fu rifiutato dall'Accademia di arte drammatica. Immagino che ora gli interessati si sentiranno come i 12 editori che hanno rifiutato Harry Potter.


Dato che ho già scritto mezza pagina su Peteruccio bello, cercherò di farla breve. L'avete visto in Sherlock (serie targata BBC); Amazing grace (nel ruolo di William Pitt); The Fifth Estate (era il protagonista con la parrucca biondo platino teribbile, il motivo per cui non ho ancora finito di vederlo, lo devo assumere in piccole dosi); Hawking; lo vedrete (si spera nel giro di pochi mesi e con un adattamento decente) in 12 anni schiavo. Nella mia mente, Benny (sono miei amici, li chiamo tutti per nome, abituatevi) e Peter sono accomunati da molte cose, se si lascia da parte la formazione (Ben è laureato in Acting and Drama, mentre Peter no): hanno uno stile attoriale molto simile tra loro, tant'è che non a caso hanno recitato in un paio di casi stessi ruoli in adattamenti diversi (l'angelo Islington in Neverhwere e Luke Fitzwilliam in E' troppo facile). E' un altro attore davvero straordinario, in grado di venderti qualsiasi cosa, dal sociopatico (Sherlock) al malato terminale (Third star e Hawking) al mostro (è stato la creatura nella riduzione teatrale di Frankenstein diretta da Danny Boyle al National Theatre, e ogni volta che ci ripenso mi viene da piangere di commozione), al marito dedito e pieno di problemi (Wreckers, e sospetto sarà così anche August Osage County). Anche nel suo caso la lista di cose da vedere è infinita, ma io consiglio caldamente: Sherlock (tutte e tre le stagioni, perché non solo lui è fantastico ma anche il resto del cast lo è, ed è anche scritto da Dio); Amazing Grace (eh, chi ve lo toglie il drammone storico? non avete speranza); Hawking e in un giorno in cui vi sentite davvero particolarmente felici Third Star. Speranze per il futuro: che lo vedremo recitare in una romcom allegra con happy ending assicurato a mezz'ora dall'inizio.
Trivia: tra il diploma superiore e l'inizio dell'università, Ben ha passato un anno sabbatico in un monastero tibetano, a insegnare inglese, e si considera, "at least philosophically", buddista. 


NO, non pensateci nemmeno. Non è Loki. 
O meglio: sì, lo è, ma la sua carriera è molto più ampia e vasta e vederlo ricordato solo per quel ruolo mi infastidisce, anche perché a volerla dire tutta non è nemmeno la sua performance migliore (benché da Thor a Thor 2 sia migliorata notevolmente, con il suolo ruolo a sostenere la noia e il disastro di uno script altrimenti orrido -ma questa non è una recensione di Thor 2, scusatemi). Non vedo l'ora che escano le date in cui sarà possibile vedere al cinema il Coriolano (ripreso dal National Theatre con sottotitoli in italiano). L'avete visto in Midnight in Paris (e vi sfido a dire che non vi eravate immaginati in quel modo Fitzgerald), The hollow crown, una miniserie (indovinate...) BBC in 4 episodi tratti da 4 tragedie di Shakespeare; e per chi è amante del genere anche in War horse di Steven Spielberg. La mia conoscenza della sua carriera, rispetto a quella di Benedict e Peter, è carente, ma ho gli occhi e so (almeno credo) riconoscere la bravura quando la vedo. Comunque non me la sento di consigliarvi cose che non ho visto io per prima, quindi direi che per farvi un'idea di chi è andrà bene vedere Midnight in Paris, ma soprattuto the Hollow Crown perché sospetto fortemente che Shakespeare sia il suo terreno ideale e naturale. E per una bella serata fuori, ad Aprile non prendete impegni e andate a vedere il Coriolano (la nostra Michela ha scritto un blogghino interamente dedicato all'argomento dato che  ha il c... EHM EHM scusate la fortuna di risiedere vicino all'unico cinema d'italia dove danno questi spettacoli in diretta). Fidatevi, il National Theatre Live è un'esperienza che non si dimentica.
Trivia: All'università giocava a Rugby, ed era un promettente esordio, ma ha abbandonato la carriera da rugbista in favore del suo amore per la recitazione. E meno male!


Va bene lo ammetto, è irlandese. Non fate i pignoli.
Mi sono presa una cotta per lui questa estate, con Peaky blinders. 
Sei puntate di PURO SPLENDORE ad ogni livello, probabilmente la serie BBC migliore del 2013. Comunque l'avete visto anche Batman Begins (nel ruolo di uno Spaventapasseri che a mio avviso è decisamente più iconico del Joker di Heath Ledger, per quanto impeccabilmente recitato anche questo), Inception e Skyfall. E poi Ritorno a Cold Mountain (ma a quanto pare quel film è un porto di mare, ci sono passati tutti), La ragazza con l'orecchino di perla (film che ho completamente cancellato dalla memoria, non mi sembra un buon segno), The edge of love e Tron: Legacy.
Come avvio alla conoscenza, opterei per Batman Begins, Inception e Skyfall. E se volete indulgere nella vostra zona di nerdizione (ne abbiamo tutti una, non osate negarla), vedete anche Tron: Legacy. E ovviamente non perdetevi Peaky Blinders, perché se lo fate siete delle brutte persone. Avete tutto l'agio di recuperare la prima serie dato che la seconda è programmata per qualcosa come questo Settembre. Hop hop!
Trivia: è vegetariano. (+bonus: ha chiesto a sua moglie di sposarlo mentre stavano scalando una collina in Irlanda. Mi sa che non è il re del romanticismo) 

5. David Tennant


Il secondo scozzese della lista dopo Peter Capaldi.
Io l'ho conosciuto sempre grazie a Doctor who, di cui è stato il protagonista per tre stagioni, ma anche nel suo caso ci troviamo di fronte a una lista di lavori che è un buco nero. E' attivissimo da sempre a tutti i livelli: nel cinema, a teatro, in TV. Ultimamente, ho visto "The escape artist", un altro di quei piccoli gioiellini che la BBC ci regala per farci soffocare nell'ansi... ehm, per dimostrarci che si possono creare cose belle senza dover per forza scrivere la romcom con l'happy ending.
La mia ammirazione per quest'uomo è infinita, soprattutto per il modo in cui si approccia nei confronti di Shakespeare, perché è capace di portare i testi del Bardo a un livello di fisicità che nessuno, nemmeno Kenneth Branagh, sa dar loro.
La sua interpretazione del soliloquio più famoso del mondo ("Essere o non essere...") mi ha sconvolto quanto Benedict Cumberbatch che, nel Frankenstein, declama i versi del Paradise Lost di Milton.
Quindi, nella guida alla visione, inserisco senza indugio sia Hamlet che Much ado about nothing (molto rumore per nulla). Sul versante TV, sicuramente sia The escape artist che Broadchurch, perché ha interpretato ruoli che gli calzano a pennello, ma anche The politician's husband. Sul versante film, ammetto di non essere molto preparata (il Tennant mi piace godermelo per periodi lunghi piuttosto che brevi -ognuno ha le sue fisse), ma posso dirvi che il suo ruolo in Fright night (filmetto senza infamia e senza lode in cui il trash, mio amore segreto, raggiunge livelli notevoli) è meraviglioso, così come Nativity 2. Ma se volete restare sull'onda del Tennant serio (anche se devo essere sincera, io adoro il suo atteggiamento nelle commedie), dimenticate gli ultimi due titoli e guardate invece United.
Trivia: in Harry Potter e il Calice di Fuoco, in cui interpreta Barty Crouch Jr., il tic di leccarsi le labbra non era nello script, ma una aggiunta ideata da lui durante le riprese.

6. Martin Freeman


Questa sesta posizione ha avuto una gestazione lunga e travagliata. La verità è che, fosse per me, nominerei ogni singolo attore visto qui e lì perché secondo me il tipo di preparazione alla recitazione che viene data ai britannici non ha eguali nel resto del mondo. Sì, lo so, una posizione un po' estremista, ma confrontate la fiction media italiana con una BBC e vi renderete conto di quello che intendo. Comunque, questo è un off topic, per cui passiamo al, come si suol dire, "last but not least" della chart.
Dopo avervi deliziati con 50 sfumature di disperazione&ansia, sarò buona: i lavori di Martin sono una boccata d'aria fresca, e soprattutto leggera. Conosciuto in Italia soprattutto per il ruolo di Bilbo Baggins ne Lo hobbit (sì, è il tipo basso con i piedi pelosi che si lamenta che vuole tornare a casa), la mia stima per lui è nata grazie alla sua interpretazione del Dr Watson in Sherlock (cfr posizione #2), anche se i suoi due ruoli che amerò per sempre sono quelli che recita in Love Actually e Wild Target (cavolo, Bill Nighy non è entrato in classifica. Beh, se cliccate sul suo nome c'è il link alla sua pagina di IMDb, fatene buon uso). Da vedere: ovviamente, Wild Target, un diversivo delizioso per serate in cui volete godervi una commedia leggera e divertente senza essere del tutto idiota; ovviamente Sherlock; nel periodo natalizio, Nativity e Love actually; The World's End (che vi da una scusa buona per guardare anche i primi due capitoli della Trilogia del Cornetto e Simon Pegg) e La guida galattica per Autostoppisti (che, nonostante tutto, ha un suo perché).
E nei prossimi cinque minuti in cui navigherete su Internet da bravi studenti diligenti per cercare tutti i film sopracitati, fate un pit stop su Youtube e guardate "The girl is mime", il cortometraggio che ha confermato la mia stima nei confronti del Signor Freeman.
Trivia: non sa guidare. Ed è vegetariano anche lui!

Non mi resta altro da dire se non augurarvi buona visione! 

domenica 2 febbraio 2014

Coriolanus: Live from the Donmar Warehouse

Al grido di "Sì, invidiatemi, io l'ho visto nell'unico cinema di Italia in cui l'hanno trasmesso", ho pensato di fare un post sulla mia esperienza: la diretta satellitare del Coriolanus del Donmar Warehouse Theatre di Londra.


Credo che il National Theatre Live sia una delle iniziative culturali più interessanti che abbia mai visto: sostanzialmente, live o in differita, le produzioni più famose o di successo del National Theatre di Londra ("quel blocco di cemento orribile sul Tamigi pieno di meraviglie" come lo chiamo io) o di altri teatri ad esso "affiliati", vengono trasmesse nei cinema del Regno Unito e di tutto il mondo. 
Cercate sul sito http://ntlive.nationaltheatre.org.uk/ le produzioni nuove e vecchie e i broadcast più vicini a voi - NTlive è in parte trasmesso da Nexo Digital in Italia, ma non tutte le produzioni.
Non è la prima volta che assisto al broadcast di un'opera teatrale: ho visto Frankenstein di Danny Boyle (due volte, la prima richiese persino il "pellegrinaggio" a Faenza), The Audience con Helen Mirren (una live e una differita), Romeo and Juliet del Globe Theatre (produzione 2009), Macbeth con Kenneth Branagh e Hamlet con Rory Kinnear.





Per quanto riguarda il Coriolanus, naturalmente l'idea di veder recitare a teatro Tom Hiddleston, nuovo favorito nella mia rosa di attori preferiti, e Mark Gatiss, da tempo nel mio piccolo olimpo attoriale, era veramente allettante. Purtroppo, di fare la "capatina" a Londra non c'era speranza, tra la pecunia sempre scarseggiante e il lavoro assai precario, per cui ero, lo ammetto, molto triste. Non conoscevo l'opera, se non per sentito dire, e nei riguardi del film di Ralph Fiennes, che ho lasciato miseramente a 20 minuti dall'inizio, nonostante Gerard Butler e il mio sempre amato James Nesbitt. 

Quando infine è stato annunciato che il Cinema Teatro Tiberio di Rimini, piccolo cinemino parrocchiale nel pittoresco borgo di pescatori riminesi che è San Giuliano, non stavo più nella pelle! Naturalmente, qualche altra pazza/fangirl Hiddlestoniana ha fatto trasferte da Roma, Firenze e Bologna, con qualche malcapitato fidanzato, e il cinema era mezzo pieno!


Il Tiberio: Carino, eh? (come diceva sempre il mio prof di laboratorio alle superiori)


Come molte produzioni dell'NTlive, il Coriolanus è iniziato con un piccolo documentario sul dietro le quinte della produzione, ed essendo il Donmar un teatro molto particolare, vi direi due parole proprio su quello. Il palco del Donmar consta in una sorta di quadrato dai 5 agli 8 metri per lato visto così ad occhio, con 251 posti totali intorno. Era un ex magazzino di banane e generi simili - non per niente il nome è rimasto Donmar Warehouse - e si trova dall'altra sponda del Tamigi rispetto al West End, e più precisamente a Covent Garden. 

Riuscire a rendere il Coriolano di Shakespeare, una delle ultime tragedie scritte dal Bardo e in cui è insita una certa grandiosità ed epicità, in uno spazio piccolo e principalmente spoglio è difficilissimo, una sfida che pochi si sentirebbero di affrontare. Per quanto mi riguarda, l'esperimento è più che riuscito.





Innanzitutto, l'uso dello spazio durante l'opera: molto spesso gli autori sono in scena, ma dietro una sorta di "quinta immaginaria". Viene disegnato all'inizio un quadrato sul palco, con della tintura, per delimitare uno spazio entro il quale le scene domestiche vengono recitate, mentre molto spesso tutto il resto del cast è sistemato sul fondo, seduto su normali sedie. L'uso di queste sedie, delle scale (semplici pioli fissati al muro per lo più), del muro stesso del warehouse dipinto, disegnato con graffiti, nonché l'uso di detriti e acqua dall'alto della scena, creano una suggestione che ricorda più il teatro contemporaneo che Shakespeare ma che personalmente mi hanno colpito moltissimo. Vedere Tom Hiddleston comparire in scena coperto di sangue, tanto sangue da macchiargli i denti mentre parla, è stata una cosa molto, molto intensa, così come vedere il lavoro dei truccatori per le sue ferite da battaglia, tanto che la scena in cui si lava di questo sangue mi ha dato un senso di bruciore e fastidio, proprio quello che si proverebbe lavando una ferita aperta e sanguinante.


Copyright: Johan Persson 


Copyright: Johan Persson 

Per quanto riguarda gli interpreti non mi sento di dire che qualcuno di loro è stato marginale. Tom Hiddleston interpreta il protagonista, questo Caio Marzio Coriolano (Caius Martius Coriolanus), in una maniera estremamente onesta: è un personaggio con cui è difficile empatizzare, è un soldato perfetto, e un politico disastroso, una persona che non sa accattivarsi le persone, e che per la maggior parte ha idee praticamente fasciste. Eppure, non si può che osservare l'entusiasmo e la ferocia in quel viso (a mio parere cesellato dagli Dei - ma io sono io), la forza e l'implacabilità nel suo sguardo e infine la commozione nei suoi occhi e quella dimensione in cui non si recita più, ma si è. Hiddleston è riuscito a creare un personaggio a tutto tondo nonostante le caratteristiche e personalità così estreme di Caio Marzio, un Dio Marte sul campo di battaglia, chiamato Coriolano in onore della sua vittoria sulla città dei Corioli, ma solo un uomo di fronte alle proprie debolezze.


Copyright: Johan Persson 
Copyright: Johan Persson
Mark Gatiss nel ruolo di Menenio Agrippa (Menenius) è la figura autorevole eppure accessibile, il padre putativo o mentore della situazione, colui che sa quando parlare e quando tacere, che alza la voce solo quando necessario, se non quando si tratta di Coriolano: non è un essere meschino e calcolatore, è colui che cerca di riportare il soldato alla vita civile, che cerca di elevarlo per i suoi meriti ma in effetti non è in grado di capire che lui sta cercando di cambiarlo, quando invece crede di dover far emergere un qualcuno che in effetti Coriolano non è mai stato, ovvero il console e il politico, non il soldato.
Copyright: Johan Persson
Hadley Fraser interpreta il ruolo di Aufidio, nemico mortale di Caio Marzio, che poi diventa in parte suo alleato ma che infine è la mano che lo ucciderà. Il ruolo non è presente per tutto il tempo in scena, e necessita di un interprete più che all'altezza. Fraser fa il suo dovere e molto di più: crea la sensazione di minaccia, di pericolo, ogni qual volta il suo personaggio entra in azione. Aufidio è un guerriero, un guerriero molto più onesto con il suo ruolo di quanto non lo sia Caio Marzio: è un soldato che fa il soldato, un generale che non si da alla politica, un uomo intelligente quanto semplice e più rozzo forse. La vendetta è ciò che lo spinge, e si nota dalla presenza più intensa della rabbia più o meno repressa che contiene in sé e che si trasmette all'esterno della sua persona senza enfasi inutile. 
Copyright: Johan Persson
Copyright: Johan Persson
Volumnia, la madre di Caio Marzio, è un personaggio eccezionale, a mio parere. Una donna forte e combattiva, un soldato mancato a suo modo, fiera delle ferite del figlio e sicura che l'avrebbe amato anche se fosse tornato morto, purché gloriosamente: tutto questo in esatto opposto alla moglie di Coriolano, Virgilia, che come ogni moglie e madre è più preoccupata per l'incolumità di Caio Marzio. Il percorso di evoluzione di Volumnia passa da questa donna d'acciaio, decisa a far ascendere a giusta gloria il proprio figlio, a cercare di far tornare Caio sui suoi passi, quando lui decide di voltare le spalle a chi lo ha bandito da Roma dopo tanti sacrifici, non più con il polso e la determinazione, ma facendo appello al proprio figlio, all'uomo e non al soldato. Una Deborah Findlay, questa Volumnia, splendida.


Copyright: Johan Persson
Copyright: Johan Persson
Menzione d'onore direi per Elliott Levey e Ellen Schlesinger, nei ruoli di Bruto e Sicinia (nella opera originale di Shakespeare, Sicinio), tribuni della plebe. Questi due personaggi, un po' cospiratori, un po' amanti, manipolano i pensieri e le parole della gente con la loro eloquenza e riescono nel loro intento di far capire a Caio Marzio che non sa come trattare il popolo e non sa farsi amare, e che loro sono maestri in questo. Nonostante questi ruoli così potenzialmente malvagi e antagonisti, il loro trionfo ci riempie di una ondata di entusiasmo e di vittoria.

Copyright: Johan Persson
Copyright: Johan Persson
Altri due interpreti principali sono Peter De Jersey e Alfred Enoch (uno dei "ragazzini di Harry Potter" diventato un attore professionale e professionista), rispettivamente nei ruoli di Cominio e Tito Larzio, comandanti in capo della legione di Caio Marzio. Questi due risultano speculari quasi ad Aufidio, la parte "buona" o meglio gli alleati di Coriolano, che però peccano dello stesso difetto di Menenio: cercare di rendere Caio Marzio il politico che non è e non sarà mai, e solo per il grande rispetto e affetto che provano per lui.

Copyright: Johan Persson
Copyright: Johan Persson
L'ensemble non è semplicemente di contorno e di supporto: nonostante gli attori si susseguano nei vari ruoli, prima di amici, confidenti, popolo, sottoposti, soldati, e luogotenenti sono fondamentali nel far scaturire nei personaggi le varie emozioni e reazioni. Una prova magistrale di tutti, mi sentirei di dire soprattutto per Rochenda Sandal, Mark Stanley (visto in Game of Thrones) e Dwane Walcott.

Copyright: Johan Persson
Copyright: Johan Persson


Copyright: Johan Persson
Un'operazione, questa, insomma, a mio parere perfettamente riuscita, un riadattamento e non necessariamente una rilettura essendo il Coriolano di un'attualità e comprensione a livello cognitivo ed emotivo sontuosamente risonante. La prova che il teatro contemporaneo sa coinvolgere il pubblico anche con un testo di quattrocento anni, studiato nelle scuole e considerato dai più troppo pesante, troppo complesso, troppo didascalico. Una prova attoriale intensa e non facile, ma per cui personalmente non posso dirmi affatto insoddisfatta: se ho colto ciò che ho colto nonostante il mio inglese non del tutto eccelso o non abbastanza per accedere in maniera fluida a Shakespeare, è stato soprattutto grazie alle interpretazioni e all'interiorizzazione degli attori.