giovedì 29 maggio 2014

La Ruota del Tempo: vorrei che non fosse così sottovalutata



By SisterOfDemons

"La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l'Epoca che lo vide nascere. In un'Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un'Epoca ancora a venire, un'Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l'inizio. Non c'è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio."
La Ruota del Trempo - L'Occhio del Mondo, capitolo 1.

La Ruota del Tempo (pubblicata a partire dal gennaio 1990) è una saga che inizialmente ho snobbato. Troppo lunga, troppo complicata, troppo costosa, poco originale. Era quello che amavo ripetermi, soprattutto perché la mia pietra di paragone erano Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, da me considerate praticamente un capolavoro nel loro ambito.
Per fortuna il tempo passa e le persone crescono. In occasione della ristampa dei primi dieci capitoli della storia in versione economica, ho deciso di vincere i miei pregiudizi e ho comprato il primo libro.
Dopo aver terminato la lettura volevo farmi del male da sola, per aver aspettato tutto quel tempo prima di accostarmi a The Wheel of Time (WoT per gli amici). Va da sé che ho comprato tutti gli altri tomi e li ho divorati in meno di un mese (14 libri da minimo settecento pagine l'uno, fino ad arrivare ad un massimo di mille e passa).
Quello che ho trovato è un'opera piena di significati. Va bene, è un epic fantasy, nessuno si aspetta di trovare risposte alla domanda fondamentale sulla vita l'universo e tutto quanto (cit.) in un fantasy, eppure insegnamenti se ne possono trarre, eccome.
La storia si basa su una premessa fondamentale, di tipo creazionistico (le religioni ricoprono un ruolo importantissimo), che fa da sfondo alle vicende narrate.
In principio il Creatore forgiò la Ruota del Tempo, formata da sette raggi che rappresentano sette Epoche. Egli intesse il Disegno delle Ere e le vite degli uomini sono i suoi fili. La Ruota viene fatta girare dalla Vera Fonte, divisa in due metà. Quella maschile (parte che diverrà in seguito contaminata da malvagità e follia) è detta saidin, quella femminile è saidar. Queste forze sono uguali e contrarie ed è proprio la loro continua contrapposizione a far girare la Ruota. A disturbare l'equilibrio della Ruota intervenne Shai'tan, che fu tuttavia imprigionato con grande fatica, pur conservando un'influenza malvagia sull'inconsapevole umanità.
Per contrastare la minaccia del Tenebroso, la Ruota fa nascere periodicamente il Drago, detto campione della Luce, capace di utilizzare al meglio i poteri della Vera Fonte.
Il compianto Robert Jordan
La natura ciclica delle Epoche non consente una vittoria definitiva di una forza sull'altra, pertanto la guerra tra il Drago e Shai'tan è stata combattuta innumerevoli volte nel corso del tempo. Il Drago rinascerà e morirà per millenni, finché girerà la Ruota del Tempo, intrappolando sempre Shai'tan, a meno che ovviamente, questi non fermi la ripetizione del processo distruggendo per sempre la Ruota stessa.
La storia è ambientata nella Epoca Terza, tremila anni dopo che L'Ultimo Drago, Lews Therin Telamon, ha intrappolato il Tenebroso, con l'aiuto dei suoi leggendari Cento Compagni. Prima di essere imprigionato tuttavia, Shai'tan è riuscito a contaminare di malvagità la parte maschile della Vera Fonte, ovverosia saidin, cosicché da quel momento in poi, tutti coloro capaci di utlizzare quel potere saranno inevitabilmente portati alla pazzia.
Rand al'Thor è un ragazzo come tanti, che vive nel suo bel villaggetto nei pressi dei Fiumi Gemelli. Lui è un orfano (se non sei orfano non presentarti per niente ai casting per protagonista di saga fantasy, non ti prenderanno mai) di madre, che vive con il suo genitore superstite e ha due migliori amici: Mat Cauthon e Perrin Aybara. Ha pure una spasimante, l'odiosissima Egwene al'Vere, simpatica proprio come un calcio nel culo.
A sconvolgere la tranquilla vita della comunità giunge una minaccia inaspettata (più che altro perché gli abitanti dei Fiumi Gemelli sono tutti zotici illetterati, chiusi nel loro piccolo mondo fatto di superstizione e feste di paese), annunciata da una misteriosa donna, tale Moiraine Damodred, che risveglia l'interesse (e gli ormoni) dei protagonisti maschi.
il padre di Rand, nel delirio di una febbre, gli rivela che lui è stato adottato ed è in realtà un Aiel (popolo di altri selvatici zoticoni superstiziosi dediti all'arte della guerra, per sintetizzare di moltissimo la faccenda). Il ragazzo non vuole credere a suo padre, ma il fatto che il suo aspetto fisico (occhi azzurri e capelli rossi) differisce parecchio da quello dei suoi concittadini (tutti piuttosto scuri), lo spinge a porsi determinate domande.
Dopo una serie di vicende che non sto qui a raccontare, Rand scopre di essere il famigerato Drago Rinato, mentre i suoi amici del cuore sono il suo braccio destro e il suo braccio sinistro. (Sono tutti dei gran simpaticoni reincarnati, persone che in tutte le Epoche passate e future si sono trovati e si ritroveranno insieme, perché sono ta'veren, e in quanto tali capaci di influenzare il destino del mondo).
Dove sta l'originalità fin qui, mi si potrà chiedere. Per prima cosa il protagonista non è un eroe senza macchia e senza paura. Rand è un folle, sente la voce del suo "predecessore" nella testa (predecessore che è chiamato "Kinslayer"...ricorda qualcosa...?), fa come gli pare, indulge in tentazioni, ha tre donne contemporaneamente e sebbene non sia proprio incesto, una delle tre è sua parente. Ad un certo punto della storia gli viene tagliata la mano sinistra (altri a caso perdono la destra, ma in ogni caso mi ricorda qualcosa...) e si indebolisce sempre di più per ferite che non guariranno mai, quindi di tanto in tanto è accecato dal dolore e agisce in modo sconsiderato, senza contare che la sua megalomania raggiunge livelli mai visti in precedenza.
I suoi due compari non fanno eccezione, ognuno a suo modo è particolare. Matrim Cauthon è un donnaiolo giocatore d'azzardo che ricorda molto la figura di Odino, in quanto perde un occhio, rimane impiccato ad un albero e riesce a sopravvivere e la sua arma prediletta è una ashandarei, ovvero una lancia. Siccome è uno incurante delle regole, si infila in una serie di guai uno peggio dell'altro. Perrin Aybara è quello grande, grosso e sensibile. La sua arma è il martello, quindi se Mat è Odino lui è senza dubbio Thor. Perrin ha un feeling particolare con i lupi, riesce a parlare con loro e letteralmente entra nella loro testa (mi ricorda qualcosa, e non me lo ricorda vagamente, ma proprio concretamente...)e scorrazza in giro nei loro corpi.
Ovviamente non mancano i giochi di potere, tanto che i personaggi delle zone "in" del continente, affermano giovialmente di star partecipando al "Gioco delle Casate" (mi venisse un colpo se anche questo non mi ricorda qualcosa...).
Brandon "Orsacchiottone" Sanderson
Il finale della vicenda, molto lunga e travagliata, è la definizione esatta di "trollaggio". Io mi sono sentita profondamente, estremamente e brutalmente trollata dopo aver letto l'ultima pagina. Ho fissato il vuoto con la bocca aperta per almeno dieci minuti buoni. Troll.
Robert Jordan, che Dio lo abbia in gloria, era un fottutissimo genio. La sua cura per i dettagli è una cosa commuovente, i suoi personaggi sono approfonditi, ben fatti psicologicamente, particolari, non sono degli stereotipi deambulanti. Le donne di Jordan sono meravigliose (tranne un paio che le avrei prese a calci da qui all'apocalisse, porca miseria ladra), indipendenti e con il sale in zucca, tanto che gran parte delle società evolute di Jordan sono di tipo matriarcale.
Robert Jordan sa scrivere. Non punta alla spettacolarizzazione dell'evento sessuale (la gente ci dà parecchio dentro, specialmente Rand, che poveraccio ha tre femmine, mentre le accontenta tutte...solo che ha la grazia di far accadere la maggior parte degli incontri off screen) e battaglie e strategie militari sono ancora una volta talmente precisi e plausibili che uno non se ne capacita. Il suo successore, Brandon Sanderson, che ha portato a termine la saga quando Jordan è morto, si è dimostrato perfettamente all'altezza delle aspettative. Meravigliosamente bravo, probabilmente anche di più dello stesso Jordan.
Mi piace sperticarmi in lodi per questa saga (e non voglio assolutamente dire che non ci siano difetti. Ce ne sono, ovviamente. Ci sono parti noiose in cui non succede nulla, a volte qualche punto eccessivamente descrittivo fa sospirare di impazienza, ma nonostante questo i lati positivi superano di gran lunga quelli negativi) e mi dispiace enormemente che non abbia il riconoscimento che merita.
Qui entra in gioco George Martin. Ormai ASOIAF è sinonimo di saga fantasy di successo, grazie anche e soprattutto alla HBO. Le due storie sono diversissime, nonostante qualche idea che Martin ha "rubacchiato" a Jordan. Diverse sono le premesse e diversi sono gli scopi dei personaggi e le intenzioni dietro le loro storie.
Però visto che ormai è pacifico che in un modo o nell'altro tutte le storie fantasy abbiano il destino infausto di essere categorizzate in base alla somiglianza con Il Signore degli Anelli o con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, non posso fare a meno di paragonare Jordan a Martin. In realtà potrei azzardare nel dire che WoT si colloca a metà strada tra il SdA e ASOIAF. Condivide alcuni aspetti con il primo, ma probabilmente ne condivide di più con il secondo.
Babbo Natale
Amo ASOIAF, ma WoT è su un altro pianeta. Scritta meglio, più organizzata, ponderata, di ampio respiro, si ha la sensazione che veramente tutto vada come dovrebbe andare e il finale è perfetto, seppur nella sua trollosità. I protagonisti sono di luci e ombre, come quelli di Martin, ma ben più credibili, sotto parecchi punti di vista.
ASOIAF ha tanti meriti, ha sovvertito un sacco di cliché sul fantasy e ha donato nuova linfa al genere, è innegabile. Ma Jordan c'era arrivato prima, solo che il mondo non se ne è accordo.
WoT è amata, ma indubbiamente si può considerare un'opera più di "nicchia", è lunga e complessa e non è per tutti.
In ultima battuta vorrei spendere due paroline sugli autori. Martin essenzialmente ha saputo sfruttare una sua buona idea e riesce senza dubbio a trasmettere giuste sensazioni, mentre lo si legge. Carente dal punto di vista stilistico, lessicale e sintattico, riesce a recuperare con i colpi di scena e gli eventi tumultuosi. Un cliffhanger diabolico lì, un mistero qui, et voilà, il piatto è servito. Non sto dicendo che Martin sia una capra, lungi da me. Sto solo considerando che il suo successo proviene dalla genuinità delle sue idee e non dal suo talento di scrittore, nel senso più letterale del termine. Ho la sensazione, alquanto disturbante in realtà, che Martin rispetti poco i suoi lettori e me lo confermano alcune sue risposte, spesso sgarbate, quando gli viene chiesto a che punto sia con il prossimo libro. Non devo andarci a cena assieme e non credo proprio che lo conoscerò mai, quindi sicuramente nel suo privato può far quello che gli pare, non mi compete. Ma da lettrice mi urta la sua occasionale arroganza, non fa una bella figura.
Non ho "conosciuto" Jordan, perché quando ho cominciato a leggere era già morto, ma posso dire che Sanderson è tutto il contrario di Martin: puntuale, disponibile e simpatico. Ripeto, sarebbe assurdo comprare e leggere un libro basandosi sulla simpatia e su altre qualità personali dell'autore. La cosa non è concepibile, sarebbe come basarsi su un'apparenza che non sta né in cielo né in terra, per questo motivo cerco di sapere il meno possibile sulle vite personali degli autori. Sono umana e in quanto tale soggetta a comportamenti parziali che mi spingono a giudicare in base a fattori che non dovrei prendere in considerazione. 
Quando misi per la prima volta gli occhi su ASOIOAF pensavo che mai avrei detto le cose che sto dicendo adesso. Però come ho detto le cose cambiano e anche se sarò sempre affezionata alle Cronache e le porterò sempre nel cuore, non posso più fermare quel processo che ormai si è innescato. Processo che le sta facendo scivolare sempre più in basso nella mia personale classifica di gradimento.
WoT mi dà delle sensazioni che ASOIAF ormai non mi dà più, e se poi prendo il mio lettore e mi metto ad ascoltare Wheel of Time dei Blind Guardian, di gran lunga una delle mie canzoni preferite in assoluto, io mi sento bene, felice e in pace con me stessa.

The young man says
"I will never give in"
The prophecy
behold it's true
I conquer the flame
to release the insane
I'm crying.
I cannot erase
I'm the Dragon Reborn
and in madness
I soon shall prevail.

giovedì 22 maggio 2014

Per la serie "non capisco se mi piace": L'oceano in fondo al sentiero


La mia copia del libro, con tanto di schifosa copertina italiana (BRUTTA!)

By SisterOfDemons
Odio quella sensazione di incertezza in cui mi lasciano alcune letture. Ci sono libri che amo in modo viscerale, libri che odio con tutta me stessa e libri di cui non so cosa pensare.
L'oceano in fondo al sentiero è purtroppo uno di quelli che rientrano nella terza categoria, ma con un plot twist finale: a volte mi convinco che mi è piaciuto, altre volte penso che mi abbia delusa.
Mentre lo leggevo ho avuto la sensazione che mi stesse piacendo moltissimo, ma appena giunta all'ultima pagina, ecco che mi è sorto il dubbio. 
La prima nota di demerito è servita su un piatto d'argento grazie all'orrenda copertina della versione italiana. Mentre la traduzione del titolo è stranamente fedele all'originale (The Ocean at the End of The Lane), la copertina è una pallida imitazione della versione in inglese (che tra l'altro non è una meraviglia, ma almeno non è così brutta). Per fortuna io quando si tratta di libri non credo che l'abito faccia il monaco, altrimenti questa vergogna non l'avrei fatta entrare in casa mia.
Va bene, mi sono detta, è stata una lettura affascinante, con elementi interessanti, una leggera e piacevole confusione tra piano onirico e realtà. E quindi? Tutto questo per dire che...?
Ho avuto, col senno di poi, la netta sensazione che mancassero pezzi alla storia. Il finale non è un finale, il protagonista è decisamente molto più piacevole e interessante quando è un bambino, perché quando cresce perde tutte le buone qualità dell'infanzia: immaginazione, timore reverenziale e attrazione per l'inspiegabile. 
Gran parte della vicenda si svolge quando il protagonista ha sette anni, quindi ho trovato interessante leggere descrizioni di eventi da "adulti" visti con gli occhi di un bambino, che nella sua ingenuità non riesce a comprenderli e pertanto non fa caso ad atteggiamenti che sono in realtà alquanto compromettenti per la pace della sua famiglia. 
Le donne della famiglia Hempstock, da tutti tanto decantate, non mi sono sembrate un granché, in tutta onestà. 
Nella mia personale opinione, Gaiman ha tentato di contrapporre queste tre donne, che cerca in tutti i modi di propinarci per tenaci, meravigliose e incredibilmente sagge (mi spiace Neil, a me son sembrate tre grandi presuntuose) alle altre tre figure femminili presenti nel romanzo, ovvero la madre e la sorella del protagonista e la signorina Ursula Monkton, una specie di Mary Poppins malvagia.
Indubbiamente nel confronto tra le sei, quelle che risultano vittoriose sono le Hempstock, ma ciò non accade grazie a un percorso preciso che spinge ad amarle, ma solo perchè fin dall'inizio sono presentate in luce positiva. Il lettore le vede con gli occhi del bambino protagonista, che ovviamente le ammira moltissimo. Sono figure intriganti a cui è dedicato un approfondimento davvero infimo, un background traballante e una caratterizzazione praticamente non pervenuta.
Figura del tutto inutile è quella del padre del protagonista, uomo medio che sotto il giogo di Ursula smette di pensare con la testa e comincia a farlo con si può immaginare bene cosa. Il bambino non mostra in realtà segni di particolare affetto nei confronti dei suoi parenti, ma li tollera perché così è giusto.
La cosa brutta, che mi infastidisce molto in quanto io adoro Neil Gaiman, è che non si capisce bene se avesse in mente un progetto grandioso che non è riuscito a sviluppare in tutta la sua magnificenza, strizzando il tutto in meno di duecento pagine o se al contrario avesse mezza idea più o meno buona che ha faticosamente spalmato su quasi duecento pagine. Seriamente, non capisco.
Gaiman riesce a fare cose meravigliose, ha idee geniali che però molto spesso non riesce a comunicarmi. Capisco che c'era una buonissima idea dietro questo libro, solo che poi la resa non è stata delle migliori. Non è la prima volta che mi capita una cosa del genere con Gaiman, ho un rapporto altalenante con le sue opere. American Gods e Nessun dove rimangono per me i suoi scritti migliori (in particolar modo il primo, che è anche stato il mio battesimo del fuoco con Gaiman e che perciò mi è rimasto nel cuore). Stardust è un altro di quelli che è stato piacevole leggere, ma che mi sarebbe piaciuto veder sviluppato in qualcosa di più ampio: tante buonissime idee che tutte insieme hanno troppo poco respiro, ma che organizzate diversamente, in più di un libro soltanto, avrebbero potuto fare il grande salto: da buone idee a idee grandiose.
Eccomi quindi totalmente incapace di dire se L'oceano in fondo al sentiero mi sia piaciuto o no.
È un buon libro, lo stile di Gaiman è inconfondibile, le basi ci sono, la partenza sembra promettente, il protagonista è un bimbetto simpatico e sveglio...tuttavia c'è troppo potenziale non sfruttato. La storia sembra intrappolata, pare che parta bene, solo che poi non arriva da nessuna parte. È fine a se stessa, la trama è deboluccia in più di qualche punto. Quella che probabilmente nelle intenzioni era la storia di un adulto disilluso che cerca di ritrovare se stesso grazie ai ricordi e ai luoghi della sua infanzia è alla fine un raccontino piacevole, privo però di quel quid che mi aspettavo di trovare in un libro di uno dei miei scrittori preferiti.