giovedì 29 maggio 2014

La Ruota del Tempo: vorrei che non fosse così sottovalutata



By SisterOfDemons

"La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l'Epoca che lo vide nascere. In un'Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un'Epoca ancora a venire, un'Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l'inizio. Non c'è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio."
La Ruota del Trempo - L'Occhio del Mondo, capitolo 1.

La Ruota del Tempo (pubblicata a partire dal gennaio 1990) è una saga che inizialmente ho snobbato. Troppo lunga, troppo complicata, troppo costosa, poco originale. Era quello che amavo ripetermi, soprattutto perché la mia pietra di paragone erano Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, da me considerate praticamente un capolavoro nel loro ambito.
Per fortuna il tempo passa e le persone crescono. In occasione della ristampa dei primi dieci capitoli della storia in versione economica, ho deciso di vincere i miei pregiudizi e ho comprato il primo libro.
Dopo aver terminato la lettura volevo farmi del male da sola, per aver aspettato tutto quel tempo prima di accostarmi a The Wheel of Time (WoT per gli amici). Va da sé che ho comprato tutti gli altri tomi e li ho divorati in meno di un mese (14 libri da minimo settecento pagine l'uno, fino ad arrivare ad un massimo di mille e passa).
Quello che ho trovato è un'opera piena di significati. Va bene, è un epic fantasy, nessuno si aspetta di trovare risposte alla domanda fondamentale sulla vita l'universo e tutto quanto (cit.) in un fantasy, eppure insegnamenti se ne possono trarre, eccome.
La storia si basa su una premessa fondamentale, di tipo creazionistico (le religioni ricoprono un ruolo importantissimo), che fa da sfondo alle vicende narrate.
In principio il Creatore forgiò la Ruota del Tempo, formata da sette raggi che rappresentano sette Epoche. Egli intesse il Disegno delle Ere e le vite degli uomini sono i suoi fili. La Ruota viene fatta girare dalla Vera Fonte, divisa in due metà. Quella maschile (parte che diverrà in seguito contaminata da malvagità e follia) è detta saidin, quella femminile è saidar. Queste forze sono uguali e contrarie ed è proprio la loro continua contrapposizione a far girare la Ruota. A disturbare l'equilibrio della Ruota intervenne Shai'tan, che fu tuttavia imprigionato con grande fatica, pur conservando un'influenza malvagia sull'inconsapevole umanità.
Per contrastare la minaccia del Tenebroso, la Ruota fa nascere periodicamente il Drago, detto campione della Luce, capace di utilizzare al meglio i poteri della Vera Fonte.
Il compianto Robert Jordan
La natura ciclica delle Epoche non consente una vittoria definitiva di una forza sull'altra, pertanto la guerra tra il Drago e Shai'tan è stata combattuta innumerevoli volte nel corso del tempo. Il Drago rinascerà e morirà per millenni, finché girerà la Ruota del Tempo, intrappolando sempre Shai'tan, a meno che ovviamente, questi non fermi la ripetizione del processo distruggendo per sempre la Ruota stessa.
La storia è ambientata nella Epoca Terza, tremila anni dopo che L'Ultimo Drago, Lews Therin Telamon, ha intrappolato il Tenebroso, con l'aiuto dei suoi leggendari Cento Compagni. Prima di essere imprigionato tuttavia, Shai'tan è riuscito a contaminare di malvagità la parte maschile della Vera Fonte, ovverosia saidin, cosicché da quel momento in poi, tutti coloro capaci di utlizzare quel potere saranno inevitabilmente portati alla pazzia.
Rand al'Thor è un ragazzo come tanti, che vive nel suo bel villaggetto nei pressi dei Fiumi Gemelli. Lui è un orfano (se non sei orfano non presentarti per niente ai casting per protagonista di saga fantasy, non ti prenderanno mai) di madre, che vive con il suo genitore superstite e ha due migliori amici: Mat Cauthon e Perrin Aybara. Ha pure una spasimante, l'odiosissima Egwene al'Vere, simpatica proprio come un calcio nel culo.
A sconvolgere la tranquilla vita della comunità giunge una minaccia inaspettata (più che altro perché gli abitanti dei Fiumi Gemelli sono tutti zotici illetterati, chiusi nel loro piccolo mondo fatto di superstizione e feste di paese), annunciata da una misteriosa donna, tale Moiraine Damodred, che risveglia l'interesse (e gli ormoni) dei protagonisti maschi.
il padre di Rand, nel delirio di una febbre, gli rivela che lui è stato adottato ed è in realtà un Aiel (popolo di altri selvatici zoticoni superstiziosi dediti all'arte della guerra, per sintetizzare di moltissimo la faccenda). Il ragazzo non vuole credere a suo padre, ma il fatto che il suo aspetto fisico (occhi azzurri e capelli rossi) differisce parecchio da quello dei suoi concittadini (tutti piuttosto scuri), lo spinge a porsi determinate domande.
Dopo una serie di vicende che non sto qui a raccontare, Rand scopre di essere il famigerato Drago Rinato, mentre i suoi amici del cuore sono il suo braccio destro e il suo braccio sinistro. (Sono tutti dei gran simpaticoni reincarnati, persone che in tutte le Epoche passate e future si sono trovati e si ritroveranno insieme, perché sono ta'veren, e in quanto tali capaci di influenzare il destino del mondo).
Dove sta l'originalità fin qui, mi si potrà chiedere. Per prima cosa il protagonista non è un eroe senza macchia e senza paura. Rand è un folle, sente la voce del suo "predecessore" nella testa (predecessore che è chiamato "Kinslayer"...ricorda qualcosa...?), fa come gli pare, indulge in tentazioni, ha tre donne contemporaneamente e sebbene non sia proprio incesto, una delle tre è sua parente. Ad un certo punto della storia gli viene tagliata la mano sinistra (altri a caso perdono la destra, ma in ogni caso mi ricorda qualcosa...) e si indebolisce sempre di più per ferite che non guariranno mai, quindi di tanto in tanto è accecato dal dolore e agisce in modo sconsiderato, senza contare che la sua megalomania raggiunge livelli mai visti in precedenza.
I suoi due compari non fanno eccezione, ognuno a suo modo è particolare. Matrim Cauthon è un donnaiolo giocatore d'azzardo che ricorda molto la figura di Odino, in quanto perde un occhio, rimane impiccato ad un albero e riesce a sopravvivere e la sua arma prediletta è una ashandarei, ovvero una lancia. Siccome è uno incurante delle regole, si infila in una serie di guai uno peggio dell'altro. Perrin Aybara è quello grande, grosso e sensibile. La sua arma è il martello, quindi se Mat è Odino lui è senza dubbio Thor. Perrin ha un feeling particolare con i lupi, riesce a parlare con loro e letteralmente entra nella loro testa (mi ricorda qualcosa, e non me lo ricorda vagamente, ma proprio concretamente...)e scorrazza in giro nei loro corpi.
Ovviamente non mancano i giochi di potere, tanto che i personaggi delle zone "in" del continente, affermano giovialmente di star partecipando al "Gioco delle Casate" (mi venisse un colpo se anche questo non mi ricorda qualcosa...).
Brandon "Orsacchiottone" Sanderson
Il finale della vicenda, molto lunga e travagliata, è la definizione esatta di "trollaggio". Io mi sono sentita profondamente, estremamente e brutalmente trollata dopo aver letto l'ultima pagina. Ho fissato il vuoto con la bocca aperta per almeno dieci minuti buoni. Troll.
Robert Jordan, che Dio lo abbia in gloria, era un fottutissimo genio. La sua cura per i dettagli è una cosa commuovente, i suoi personaggi sono approfonditi, ben fatti psicologicamente, particolari, non sono degli stereotipi deambulanti. Le donne di Jordan sono meravigliose (tranne un paio che le avrei prese a calci da qui all'apocalisse, porca miseria ladra), indipendenti e con il sale in zucca, tanto che gran parte delle società evolute di Jordan sono di tipo matriarcale.
Robert Jordan sa scrivere. Non punta alla spettacolarizzazione dell'evento sessuale (la gente ci dà parecchio dentro, specialmente Rand, che poveraccio ha tre femmine, mentre le accontenta tutte...solo che ha la grazia di far accadere la maggior parte degli incontri off screen) e battaglie e strategie militari sono ancora una volta talmente precisi e plausibili che uno non se ne capacita. Il suo successore, Brandon Sanderson, che ha portato a termine la saga quando Jordan è morto, si è dimostrato perfettamente all'altezza delle aspettative. Meravigliosamente bravo, probabilmente anche di più dello stesso Jordan.
Mi piace sperticarmi in lodi per questa saga (e non voglio assolutamente dire che non ci siano difetti. Ce ne sono, ovviamente. Ci sono parti noiose in cui non succede nulla, a volte qualche punto eccessivamente descrittivo fa sospirare di impazienza, ma nonostante questo i lati positivi superano di gran lunga quelli negativi) e mi dispiace enormemente che non abbia il riconoscimento che merita.
Qui entra in gioco George Martin. Ormai ASOIAF è sinonimo di saga fantasy di successo, grazie anche e soprattutto alla HBO. Le due storie sono diversissime, nonostante qualche idea che Martin ha "rubacchiato" a Jordan. Diverse sono le premesse e diversi sono gli scopi dei personaggi e le intenzioni dietro le loro storie.
Però visto che ormai è pacifico che in un modo o nell'altro tutte le storie fantasy abbiano il destino infausto di essere categorizzate in base alla somiglianza con Il Signore degli Anelli o con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, non posso fare a meno di paragonare Jordan a Martin. In realtà potrei azzardare nel dire che WoT si colloca a metà strada tra il SdA e ASOIAF. Condivide alcuni aspetti con il primo, ma probabilmente ne condivide di più con il secondo.
Babbo Natale
Amo ASOIAF, ma WoT è su un altro pianeta. Scritta meglio, più organizzata, ponderata, di ampio respiro, si ha la sensazione che veramente tutto vada come dovrebbe andare e il finale è perfetto, seppur nella sua trollosità. I protagonisti sono di luci e ombre, come quelli di Martin, ma ben più credibili, sotto parecchi punti di vista.
ASOIAF ha tanti meriti, ha sovvertito un sacco di cliché sul fantasy e ha donato nuova linfa al genere, è innegabile. Ma Jordan c'era arrivato prima, solo che il mondo non se ne è accordo.
WoT è amata, ma indubbiamente si può considerare un'opera più di "nicchia", è lunga e complessa e non è per tutti.
In ultima battuta vorrei spendere due paroline sugli autori. Martin essenzialmente ha saputo sfruttare una sua buona idea e riesce senza dubbio a trasmettere giuste sensazioni, mentre lo si legge. Carente dal punto di vista stilistico, lessicale e sintattico, riesce a recuperare con i colpi di scena e gli eventi tumultuosi. Un cliffhanger diabolico lì, un mistero qui, et voilà, il piatto è servito. Non sto dicendo che Martin sia una capra, lungi da me. Sto solo considerando che il suo successo proviene dalla genuinità delle sue idee e non dal suo talento di scrittore, nel senso più letterale del termine. Ho la sensazione, alquanto disturbante in realtà, che Martin rispetti poco i suoi lettori e me lo confermano alcune sue risposte, spesso sgarbate, quando gli viene chiesto a che punto sia con il prossimo libro. Non devo andarci a cena assieme e non credo proprio che lo conoscerò mai, quindi sicuramente nel suo privato può far quello che gli pare, non mi compete. Ma da lettrice mi urta la sua occasionale arroganza, non fa una bella figura.
Non ho "conosciuto" Jordan, perché quando ho cominciato a leggere era già morto, ma posso dire che Sanderson è tutto il contrario di Martin: puntuale, disponibile e simpatico. Ripeto, sarebbe assurdo comprare e leggere un libro basandosi sulla simpatia e su altre qualità personali dell'autore. La cosa non è concepibile, sarebbe come basarsi su un'apparenza che non sta né in cielo né in terra, per questo motivo cerco di sapere il meno possibile sulle vite personali degli autori. Sono umana e in quanto tale soggetta a comportamenti parziali che mi spingono a giudicare in base a fattori che non dovrei prendere in considerazione. 
Quando misi per la prima volta gli occhi su ASOIOAF pensavo che mai avrei detto le cose che sto dicendo adesso. Però come ho detto le cose cambiano e anche se sarò sempre affezionata alle Cronache e le porterò sempre nel cuore, non posso più fermare quel processo che ormai si è innescato. Processo che le sta facendo scivolare sempre più in basso nella mia personale classifica di gradimento.
WoT mi dà delle sensazioni che ASOIAF ormai non mi dà più, e se poi prendo il mio lettore e mi metto ad ascoltare Wheel of Time dei Blind Guardian, di gran lunga una delle mie canzoni preferite in assoluto, io mi sento bene, felice e in pace con me stessa.

The young man says
"I will never give in"
The prophecy
behold it's true
I conquer the flame
to release the insane
I'm crying.
I cannot erase
I'm the Dragon Reborn
and in madness
I soon shall prevail.

giovedì 22 maggio 2014

Per la serie "non capisco se mi piace": L'oceano in fondo al sentiero


La mia copia del libro, con tanto di schifosa copertina italiana (BRUTTA!)

By SisterOfDemons
Odio quella sensazione di incertezza in cui mi lasciano alcune letture. Ci sono libri che amo in modo viscerale, libri che odio con tutta me stessa e libri di cui non so cosa pensare.
L'oceano in fondo al sentiero è purtroppo uno di quelli che rientrano nella terza categoria, ma con un plot twist finale: a volte mi convinco che mi è piaciuto, altre volte penso che mi abbia delusa.
Mentre lo leggevo ho avuto la sensazione che mi stesse piacendo moltissimo, ma appena giunta all'ultima pagina, ecco che mi è sorto il dubbio. 
La prima nota di demerito è servita su un piatto d'argento grazie all'orrenda copertina della versione italiana. Mentre la traduzione del titolo è stranamente fedele all'originale (The Ocean at the End of The Lane), la copertina è una pallida imitazione della versione in inglese (che tra l'altro non è una meraviglia, ma almeno non è così brutta). Per fortuna io quando si tratta di libri non credo che l'abito faccia il monaco, altrimenti questa vergogna non l'avrei fatta entrare in casa mia.
Va bene, mi sono detta, è stata una lettura affascinante, con elementi interessanti, una leggera e piacevole confusione tra piano onirico e realtà. E quindi? Tutto questo per dire che...?
Ho avuto, col senno di poi, la netta sensazione che mancassero pezzi alla storia. Il finale non è un finale, il protagonista è decisamente molto più piacevole e interessante quando è un bambino, perché quando cresce perde tutte le buone qualità dell'infanzia: immaginazione, timore reverenziale e attrazione per l'inspiegabile. 
Gran parte della vicenda si svolge quando il protagonista ha sette anni, quindi ho trovato interessante leggere descrizioni di eventi da "adulti" visti con gli occhi di un bambino, che nella sua ingenuità non riesce a comprenderli e pertanto non fa caso ad atteggiamenti che sono in realtà alquanto compromettenti per la pace della sua famiglia. 
Le donne della famiglia Hempstock, da tutti tanto decantate, non mi sono sembrate un granché, in tutta onestà. 
Nella mia personale opinione, Gaiman ha tentato di contrapporre queste tre donne, che cerca in tutti i modi di propinarci per tenaci, meravigliose e incredibilmente sagge (mi spiace Neil, a me son sembrate tre grandi presuntuose) alle altre tre figure femminili presenti nel romanzo, ovvero la madre e la sorella del protagonista e la signorina Ursula Monkton, una specie di Mary Poppins malvagia.
Indubbiamente nel confronto tra le sei, quelle che risultano vittoriose sono le Hempstock, ma ciò non accade grazie a un percorso preciso che spinge ad amarle, ma solo perchè fin dall'inizio sono presentate in luce positiva. Il lettore le vede con gli occhi del bambino protagonista, che ovviamente le ammira moltissimo. Sono figure intriganti a cui è dedicato un approfondimento davvero infimo, un background traballante e una caratterizzazione praticamente non pervenuta.
Figura del tutto inutile è quella del padre del protagonista, uomo medio che sotto il giogo di Ursula smette di pensare con la testa e comincia a farlo con si può immaginare bene cosa. Il bambino non mostra in realtà segni di particolare affetto nei confronti dei suoi parenti, ma li tollera perché così è giusto.
La cosa brutta, che mi infastidisce molto in quanto io adoro Neil Gaiman, è che non si capisce bene se avesse in mente un progetto grandioso che non è riuscito a sviluppare in tutta la sua magnificenza, strizzando il tutto in meno di duecento pagine o se al contrario avesse mezza idea più o meno buona che ha faticosamente spalmato su quasi duecento pagine. Seriamente, non capisco.
Gaiman riesce a fare cose meravigliose, ha idee geniali che però molto spesso non riesce a comunicarmi. Capisco che c'era una buonissima idea dietro questo libro, solo che poi la resa non è stata delle migliori. Non è la prima volta che mi capita una cosa del genere con Gaiman, ho un rapporto altalenante con le sue opere. American Gods e Nessun dove rimangono per me i suoi scritti migliori (in particolar modo il primo, che è anche stato il mio battesimo del fuoco con Gaiman e che perciò mi è rimasto nel cuore). Stardust è un altro di quelli che è stato piacevole leggere, ma che mi sarebbe piaciuto veder sviluppato in qualcosa di più ampio: tante buonissime idee che tutte insieme hanno troppo poco respiro, ma che organizzate diversamente, in più di un libro soltanto, avrebbero potuto fare il grande salto: da buone idee a idee grandiose.
Eccomi quindi totalmente incapace di dire se L'oceano in fondo al sentiero mi sia piaciuto o no.
È un buon libro, lo stile di Gaiman è inconfondibile, le basi ci sono, la partenza sembra promettente, il protagonista è un bimbetto simpatico e sveglio...tuttavia c'è troppo potenziale non sfruttato. La storia sembra intrappolata, pare che parta bene, solo che poi non arriva da nessuna parte. È fine a se stessa, la trama è deboluccia in più di qualche punto. Quella che probabilmente nelle intenzioni era la storia di un adulto disilluso che cerca di ritrovare se stesso grazie ai ricordi e ai luoghi della sua infanzia è alla fine un raccontino piacevole, privo però di quel quid che mi aspettavo di trovare in un libro di uno dei miei scrittori preferiti.

domenica 13 aprile 2014

Glorie del mattino: Nerd girl is waking up.


by Marnie

Mi sono chiesta più volte cosa ci possa essere di più bello di un risveglio domenicale a base di ipod, libri e pensieri post-film-del-sabato-sera. Ora, nella vita Nerdica/Nerdosa (termine troppo dispregiativo)/Nerdale ci sentiamo legati ai nostri oggetti. Le nostre armi escapologiche, il mantello che ci rende invisibili agli occhi della gente. 

Il pc portatile (o fisso) è il mondo. Un esteso archivio di foto, video, musica con cui abbiamo un collegamento quasi embrionale. Una esperienza pluriannuale sull'argomento mi porta a precisare che il confine tra "passione e "addiction" sia alquanto labile. Ogni tanto alzo la testa dal mio portatile e guardo fuori dalla finestra o la mia stanza e cerco qualcos'altro percepibile al tatto a cui mi posso dedicare (un libro, le parole crociate, una rivista di cinema, il manuale di letteratura e cultura inglese). 

Sottotrame:

- Tumblr: una Wonderland, un universo parallelo senza confini. Un contenitore di immagini (se sono animate in gif è ancor meglio) per tuffarsi nelle vite degli altri, che siano attori, musicisti, scrittori. Negli anni mi sono resa conto che il tempo su tumblr è fondamentale. Se non avessi speso quei cinque minuti in più a scorrere la mia dashboard non avrei conosciuto foto/disegni o citazioni che mi rimarranno per sempre. 

-Facebook: per me principale veicolo di trasporto passionale. Ho creato pagine che hanno unito ancor di più le passioni di nicchia di varie persone in vari punti della nostra penisola. Qui vale lo stesso discorso per tumblr, un uso eccessivo può portare a non distinguere più il tuo vicino di casa dall'attore/attrice per cui ti sei preso una fancotta. 

Nota a margine: per "fancotta" non si intende solo quella riferita a un attore da urlo, ma anche a un libro o ai personaggi di una storia. La "fancotta" attoriale è spesso collegata a questa gif. 


Le ovaie esplose dopo la battaglia Gottiana di Blackwater


Ipod. Isolamento. Un gioco a due. Tu e lui contro il mondo. Se vuoi sostituire il brusio insistente dei teenager maleducati sul bus che ti porta a lavoro puoi. Può dare un suono diverso a quello che sentiresti camminando per una strada affollata. 


Lisa Simpson vs. The World
Sottotrama:

- Film mentali: La musica aiuta a immaginare di essere uno dei nostri personaggi letterari preferiti. Le mie di solito coinvolgono i personaggi del Trono di Spade, ma non starò qui ad annoiarvi con tali protagonismi.  E' bello immaginarsi una Miss ottocentesca o una guerriera Medieval-Fantasy prima di iniziare bene la giornata. 










martedì 8 aprile 2014

Top six: le sei morti letterarie che mi hanno fatto venir voglia di lanciare i libri dalla finestra


By SisterOfDemons
Sebbene le mie sorelle sostengano che io non abbia un cuore, o comunque che io lo usi poco, o lo tenga in congelatore per non sciuparlo troppo, alcuni avvenimenti ne confermano l'esistenza.
No, non piango quando muore la madre di Bambi o quando il lieto fine non viene contemplato, non piango se i miei personaggi preferiti muoiono, no.
La fine che avrei fatto fare ad alcuni miei libri
Queste cose non mi stringono il cuore, mi salgono direttamente al cervello e va a finire che mi incazzo come una bestia e devo esercitare un notevole autocontrollo per evitare di buttare il libro dalla finestra, nel fuoco, o peggio, nel cesso (o fare in mille pezzi il DVD o cancellare permanentemente il file, ma questa evenienza risulta più rara in quanto di solito leggo prima il libro, se ce n'è uno).
Nel corso degli anni mi sono imbattuta in talmente tanti massacri che è stato molto difficile stilare una classifica delle sei morti che mi hanno sconvolta di più (ma non necessariamente mi hanno resa più triste. Alcune le ho trovate addirittura liberatorie), resta fermo il fatto che fosse stato per me avrei creato una classifica con almeno seimila posizioni.
Se proprio volessimo spaccare il capello in quattro, diremmo che questa non è una classifica vera e propria, in quanto i personaggi appaiono nell'ordine in cui mi sono venuti in mente. Siccome non tutti sono conosciutissimi ho messo anche il libro in cui sono passati a miglior vita. Non ho incluso le morti "celebri" dei classici. Per dire, lo sa anche il muschio sotto le pietre che Werther si spara, Anna Karenina si butta sotto un treno e Giulio Cesare muore accoltellato.
  
1)Sirius Black (J.K. Rowling - Harry Potter e L'Ordine della Fenice)
Sirius Black  quando ancora era al sicuro ad Azkaban
Non posso certamente dire che questa morte fosse inaspettata, ma io ero in terza media e la cosa più tragica che avessi mai letto era stata la morte di Beth di Piccole Donne (e diciamolo francamente, tra le sorelle era quella più inutile). Era ovvio che dato l'andazzo della serie, sicuramen te qualcuno di "importante" ci sarebbe rimasto secco. Purtroppo è toccato a Sirius (a proposito, il mio cane immaginario si chiama Sirius. Si, ho un cane immaginario). Potrebbe essere semplicemente perché Harry Potter porta più sfiga di Don Matteo, oppure perché quel libro è talmente pieno di sottotrame noiose e abbastanza inutili che alla fine qualcosa di grosso doveva pur farcele dimenticare. Non ci prendiamo in giro, tutti i lettori ci sono rimasti male. Tra l'altro la morte di Sirius fu uno dei primi spoiler succulenti in cui mi sono imbattuta navigando su internet con il computer della scuola, durante un'ora in cui si supponeva avremmo dovuto fare Informatica. E poi, cazzarola, quel personaggio aveva tanto di quel potenziale rimasto inutilizzato che ancora la sua dipartita mi fa friggere il cervello.

2)Egwene al'Vere (Robert Jordan/Brandon Sanderson - Memoria di Luce)
Egwene è la Daenerys della situazione (o meglio, sarebbe il caso di dire che Daenerys è l'Egwene della situazione, in quanto La Ruota del Tempo è precedente ad ASOIAF, ma delle idee che Martin ha spudoratamente rubato a Robert Jordan parlerò in un'altra occasione). Personalmente l'ho odiata dal primo momento in cui è entrata in scena in veste di fidanzata del protagonista (grazie al cielo poi si è tolta dalle palle e le loro storyline sono rimaste piuttosto distanti). Egwene è la classica eroina della situazione: bella, simpatica, buona, benvoluta...in poche parole è di una noia apocalittica. Ero ormai rassegnata, mi ripetevo che siccome faceva parte dei "buoni" non ce ne saremmo mai liberati. Immaginatevi la mia sorpresa quando la signorina, dopo aver fatto fuoco e famme, smosso mari e monti e sposato il fratello di uno dei miei personaggi preferiti, finalmente muore ammazzata nelle battute finali dell'ultimo libro della saga (si, ok, si sacrifica per il bene dell'umanità, ma sono dettagli...). Seriamente, sto ancora festeggiando.

3)Elend Venture (Brandon Sanderson - Il Campione delle Ere)
Signore pietà. La morte di Elend è un fatto che ancora mi turba. Non so come ho fatto a non fare coriandoli del libro in cui succede il fattaccio (forse il fatto che le edizioni Fanucci costano un occhio della testa).
Elend era il mio preferito in assoluto. Io lo amavo di un amore vero, non so se mi spiego. Lui era un tipo che quando andava alle feste si portava dietro libri da leggere perchè danzare e stare in pubblico gli faceva schifo. Dopo avermi spezzato il cuore (è solo un modo di dire) in mille pezzettini mettendosi con la tipa che io detestavo a morte (una psicopatica imparanoiata che sente le voci), lo stronzetto ha avuto il coraggio di farsi staccare la testa quando ormai aveva la vittoria in pugno. Ovviamente l'autore doveva renderlo adorabile e farlo piacere a tutti per poi avere la sadica soddisfazione di farlo fuori e ridere alle nostre spalle. Io credevo che Martin fosse un maestro nel succhiare la felicità come un Dissennatore, ma c'è qualche altro suo illustre collega che nemmeno scherza.

4)Jake Chambers (Stephen King - L'Ultimo Cavaliere e La Torre Nera)
Eh, ragazzi miei, quello di Jake Chambers è un record. Muore due volte nel corso della stessa saga e tutte e due le volte è devastante. Non aiuta nemmeno il fatto che Jake sia poco più che un bambino e che Stephen King sia un maestro nel descrivere l'infanzia e la prima adolescenza (certe volte con gli adulti se la cava meno, ma è sublime con i ragazzini). La prima morte di Jake in realtà è per me la più toccante, perché arriva completamente inaspettata. Non sto qui a descrivere il complicatissimo universo in cui si ambienta la saga della Torre Nera perchè non saprei da dove cominciare, è un casino, finirei per confondermi le idee da sola. La seconda volta che J.C. muore invece è quasi scontato che lo faccia, visto che è il destino di tutti quelli che incrociano il cammino di Roland di Gilead. La cosa che più centrifuga il cervello dl lettore è che in una sorta di epilogo della vicenda, troviamo Jake ancora vivo e felice. Su questa cosa sono ancora confusa. No, ma la verità è che sto ancora pregando in ginocchio affinché qualcuno si decida a produrre una cazzo di versione cinematografica di questi libri.

5)Ilkar (James Barclay - Elfsorrow)
Bon, probabilmente in Italia questa saga la conosciamo io e la signora della libreria Giunti al Punto che me la vende. Stop. 
Per quel che mi concerne è una storia ampiamente sottovalutata, ma non ci si può aspettare nulla nel marasma di lerciume in cui ultimamente è sprofondata la letteratura fantasy (ce l'ho con i vampiri luccicanti del cazzo, con i romanzetti distopici con pretese educative, fate e fatuncole varie, angeli caduti del menga, zombie e licantropi. Ogni riferimento, tra gli altri, a Twilight e Hunger Games è puramente intenzionale).
tornando a noi, Ilkar è un elfo un po' balengo che fa parte di un gruppo di mercenari che si fanno chiamare "La Compagnia del Corvo". Per dire, Ilkar è uno dei pochi fortunati membri della compagnia, tanto che riesce a sopravvivere dopo il primo libro. Nelle prime pagine uno dopo l'altro cadono tre quarti dei membri del Corvo e quelli che rimangono sono i più rincoglioniti e codardi. In un modo o nell'altro se la cavano, sopravvivono a infanticidi di vario genere e massacri più o meno estesi, fino a quando il lettore tristemente capisce che prima o poi schiatterà un altro dei protagonisti. Quella di Ilkar non è una morte che stupisce, ma infastidisce.

6)Robb Stark (George R.R. Martin - I fiumi della guerra, ossia uno dei tanti libri in cui questa versione di ASOIAF era divisa, per il gusto della Mondadori di succhiare quanti più soldi possibile dalle nostre tasche)
Robb Stark pianifica la sua morte
Questa morte l'ho volutamente lasciata per ultima. Ancora mi provoca crisi isteriche e scatti d'ira, e dire che ormai l'ho letta ben otto anni fa. Dato il mio approccio non convenzionale ad ASOIAF, per una serie di ragioni (ignoravo che fosse una saga), mi sono ritrovata a leggere il libro con le Nozze Rosse dentro. Atroce sofferenza e tormento già provati in prima lettura, che si sono recentemente risvegliati dopo la visione della correlata puntata di Game Of Thrones. Robb Stark era la speranza per il futuro, era la luce in fondo al tunnel (quando ancora credevo che in fondo al tunnel di Martin ci potesse essere una luce), il baluardo di nobiltà e onore in un mondo schifoso. 
Pensandoci ora la mia ingenuità mi intenerisce. Non avevo ancora la percezione delle sfumature di crudeltà che lo zio George spesso e volentieri raggiunge. Robb non era un POV nei libri, ma non per questo lo sia amava di meno. Con quella madre odiosa e asfissiante, il padre morto, le sorelle disperse e i fratelli creduti morti, Robb sembrava ragionevolmente uno di quei personaggi che l'autore non avrebbe ulteriormente torturato.  
Nei miei momenti di maggiore sconforto GoT-Related, spero ancora che Robb salti fuori urlando "Stronzi, c'avevate creduto!".
Beata ingenuità!






lunedì 17 marzo 2014

Doctor Who: perché non ve lo potete perdere!

Lo so, lo so... chiedo umilmente perdono sin da ora, ma il blogghino sul Dottore me lo dovete concedere, mi dispiace. Oddio, non è che proprio mi dispiace, in realtà!


In poche parole vi riassumo di cosa si tratterebbe: è la serie tv fantascientifica più longeva della storia, e per la precisione il 23 novembre 2013 ha compiuto ben 50 anni (non continuativi, ma sempre 50 sono). Il protagonista è questo alieno, il Dottore del titolo, originario del pianeta Gallifrey: è un Signore del Tempo, questa la sua "razza", ed è molto simile a noi, se non per qualche piccolo dettaglio (ha infatti due cuori!). Il Dottore viaggia nel tempo e nello spazio grazie alla sua astronave, che ha la particolarità di essere più grande all'interno che all'esterno, e di potersi cammuffare per mimetizzarsi con l'esterno. Purtroppo, o per fortuna, è rimasta bloccata nella forma di una cabina telefonica della polizia, di quelle che si trovavano ovunque in Gran Bretagna fino agli anni 60. Si chiama T.A.R.D.I.S.: Time and Relative Dimensions in Space, e sì, è "femmina". Raramente viaggia solo, e si porta sempre dietro dei "compagni" o "companion": generalmente donne, giovani e carine quanto forti e intelligenti, ma anche uomini coraggiosi e simpatici. La particolarità del Dottore è la capacità di rigenerarsi, e può farlo 12 volte in un ciclo di vita: quando sta per morire può attivare una sorta di processio biologico per "rinascere" in un nuovo corpo e continuare ad esplorare l'universo.

Undici Dottorini salterini
Questo è il succo più ristretto che vi potevo dire. 
Doctor Who è una serie in cui virtualmente è possibile fare di tutto, da una scena nell'antica Roma ad una in una nave futuristica, passando per Versailles e la Londra dei giorni nostri. È praticamente rinnovabile all'infinito: quando l'attore principale ha finito il suo ciclo, basta prenderne un altro, e così i companion. È il prodotto dalle potenzialità esponenziali, costosissimo ma bello anche con pochi spiccioli, basato sul cambiamento continuo, se non per i fondamentali, e per questo soverchia il cliché per cui se cambi cast o cambi soggetto, la tua serie è morta. È un'idea geniale e un business da sogno (come direbbe Briatore).

Crozza-Briatore, forse nell'armadio della TARDIS
Ed ecco che qui mi direte: e la magagna? Beh, signore e signori, questa è la BBC. Ci faranno anche i soldi, ma sfruttano se non altro una serie di punta per fare cose belle. Doctor Who è associato a programmi educativi nelle scuole (era stato lanciato, ad esempio, un concorso di scrittura per le classi elementari), incoraggia la lettura, fa conoscere la storia (e gli inglesi sono bravi con queste cose, basti pensare a Horrible Histories).

Soldi! Soldi! Soldi! cantava la canzone.
Ma, arrivando al punto, cosa è in realtà, per il pubblico, il Dottore?
Il Dottore è un eroe che può fare di tutto. Può farti incontrare degli eroi del passato, può portarti nel futuro più impensabile, può persino farti tornare in tempo per tè... forse. Ti rende curioso, ti fa chiedere il perché delle cose, ti aiuta ad arricchirti mentalmente e personalmente. Sa farti capire quanto sei importante, anche se sei solo una goccia nell'oceano, una molecola nell'universo. Non si batte con la violenza, ma con l'intelligenza. Non ha superpoteri, ma ha due cuori, per amare un po' di più. 
Credo che, per me, sia qualcosa che mi aiuta a vivere meglio, anche se "è solo televisione". Mi fa sognare, mi fa credere in me stessa, mi da la capacità di fare tante cose che prima non avrei neanche considerato. Insomma, trovo che sia una cosa bellissima! E quindi vi consiglio di guardarlo, perché le cose belle aiutano le persone a creare cose belle per la generazione futura, e ne abbiamo bisogno (soprattutto dopo il ciofecone di Sorrentino!).

900 anni nel tempo e nello spazio e non ho mai incontrato nessuno che non fosse importante <3
Vi lascio alla descrizione più bella di un personaggio che si possa sentire, e che dovrebbe credo incuriosirvi e farvi riflettere sui nostri modelli ed eroi. Ecco una traduzione:

"È difficile parlare dell'importanza di un eroe immaginario. Gli eroi sono importanti, gli eroi ci dicono qualcosa su noi stessi. I libri di storia ci dicono chi eravamo e i documentari ci dicono chi siamo ora, ma gli eroi ci dicono chi vogliamo essere. E molti dei nostri eroi mi deprimono. Ma quando hanno creato questo eroe, in particolare, non gli hanno dato un'arma da fuoco. Gli hanno dato un cacciavite, per riparare le cose. Non gli hanno dato un carro armato o una macchina da guerra o un X wing, gli hanno dato una cabina con un telefono per chiamare aiuto. E non gli hanno dato un superpotere o orecchie a punta o un raggio di calore, gli hanno dato un cuore in più. Gli hanno dato due cuori, e questa è una cosa straordinaria. Non ci sarà mai un momento in cui non avremo bisogno di un eroe come il Dottore"
Trovate il video a questo link

domenica 16 marzo 2014

Morte a Pemberley: in verità vi dico che non fa così schifo!


Copertina italiana del romanzo, edito da Mondadori

 By SisterOfDemons
Dopo aver sentito peste e corna di Morte a Pemberley, complice anche la serie TV in tre parti targata BBC che invece è molto carina, mi sono armata di libro, pazienza e cattive intenzioni, pronta a stroncare questo "ennesimo oltraggio" alla memoria di Jane Austen, sempre sia lodata.
Quello che invece ho trovato è stato un romanzo scorrevole, certamente non brillante per originalità e lontano duemila anni luce dall'opera da cui prende spunto, ma comunque piacevole da leggere (ci ho messo un paio d'orette).
Non sto qui a raccontare la trama, basti sapere che Morte a Pemberley si prefigge di essere un sequel di Orgoglio e Pregiudizio, pertanto ritroviamo i medesimi protagonisti, con l'aggiunta di qualche personaggio originale che, devo ammettere, P. D. James è riuscita perfettamente a "incastrare" nella vicenda. La storia si svolge sei anni dopo il matrimonio di Elizabeth e Darcy, che ritroviamo con prole al seguito, immersi in una vita coniugale felice e paciosa, ma sempre con lo spettro di una qualche "questione irrisolta" tra i signori Darcy e i coniugi Wickham. Dopo un capitolo iniziale in cui si fa il punto sulla situazione matrimoniale delle sorelle Bennet, si passa subito all'azione, con un evento tragico che arriva a Pemberley a sconvolgere i piani dei padroni di casa, che poveracci, volevano solo dare un ballo.
Matthew Goode-Wickham, Darcy, Elizabeth e Jenna Coleman-Lydia
In tutta sincerità mi danno fastidio queste spiccate manifestazioni di epigonismo, determinate opere sono uniche e irripetibili e a primo impatto si potrebbe dedurre che solo un pazzo senza coscienza potrebbe avere il coraggio di cimentarsi in tale impresa, destinata già in partenza ad essere un fallimento. Orgoglio e Pregiudizio certamente vanta numerosissime trasposizioni apocrife, con varie gradazioni di demenzialità e bruttezza, ma un sequel diretto sembra quantomeno un gesto azzardato.
Sono state rilevate numerose pecche e altrettanti difetti, su tutti il fatto che i personaggi sarebbero snaturati del loro spirito originale, che per esempio Elizabeth e Darcy siano solo delle pallide copie dei loro corrispettivi austeniani e via discorrendo. In parte è certamente vero, ma se volessi addentrarmi in tale disquisizione occorrerebbero fiumi di inchiostro e almeno quindici ore di dibattito, pertanto non mi pare il caso. Quello che posso dire in difesa del romanzo è che certamente i personaggi sono differenti, credo che nessuno con un minimo di ragionevolezza si aspettasse di ritrovare la Austen nel libro della James, ma nemmeno per sogno. Personalmente sapevo benissimo a cosa andavo incontro leggendolo, ero veramente consapevole di avere tra le mani nulla più che un piacevole mezzo di divertimento.
Ho letto in giro che questo libro era un oltraggio, un insulto, una catastrofe, una piaga per l'umanità, un crimine contro la letteratura...insomma, avete capito. 
Niente di tutto ciò.
L'autrice stessa ci tiene a informare il lettore di non avere la pretesa di avvicinarsi nemmeno lontanamente alla Austen, scherzosamente le chiede anche scusa per aver inserito dettagli che la Jane avrebbe gradito sicuramente pochissimo.
Secondo la mia personalissima e di sicuro contestabile opinione, Morte a Pemberley è niente di più di uno sfizio che un'anziana e prolifica scrittrice come la James si è voluta togliere. Insomma, questo libro è un'enorme fanfiction, leggera e divertente, che fa la sua porca figura e assolve il suo onesto compito, intrattenendo il lettore annoiato. 
Eleanor Tomlinson-Georgiana e James Norton-Henry Alveston
Non sono proprio riuscita ad odiare questo libro, nonostante fossi partita veramente carica di cattiveria. Forse il succo della questione è che mi sono dedicata alla lettura con delle aspettative che rasentavano lo zero assoluto e con inciso in testa il fatto che NON stavo leggendo Jane Austen. La realtà è che è estremamente difficile deludere le aspettative quando di aspettative non se ne hanno, me ne rendo conto, quindi in questo modo ho potuto procedere in tutta tranquillità e godermi una vicenda simpatica e ho potuto apprezzare Georgiana Darcy e il suo spasimante Henry Alveston in tutta la loro estrema pucciosità. L'avvocatuccio in questione è una personcina che si fa amare, costruito a tavolino appositamente per rispondere alle esigenze di Miss Darcy e anche l'unico a cui viene dedicato un pizzico di impegno e che pertanto viene dotato di introspezione psicologica, seppur non del tutto entusiasmante.
Ma mi spingerò oltre, dicendo che non solo la James ha fatto bene il suo compitino togliendosi il suo sfizietto personale, ma che ha anche avuto l'enorme merito di limitare al minimo la molesta presenza di Lydia e di eliminare quasi del tutto Mrs Bennet, che viene nominata spesso, ma che non appare mai.
Poi è ovvio, i personaggi si mostrano in tutta la loro bidimensionalità, alcuni sono veramente l'inspidità fatta persona, come nel caso dei coniugi Bingley, che infatti molto saggiamente sono stati quasi del tutto eliminati dalla summenzionata serie BBC. Questa scarsa cura per il background si spiega chiaramente con il fatto che i protagonisti sono tutti conosciuti e che nessuno che non ha letto/visto Orgoglio e Pregiudizio si farebbe mai passare per l'anticamera del cervello l'idea di comprarsi Morte a Pemberley. In conclusione mi sento di dire che il mio pomeriggio l'ho felicemente occupato con una letturina per niente impegnativa o pretenziosa, se vogliamo anche stupidella, ma che non ha la minima presunzione di paragonarsi all'originale, essendo semplicemente un grazioso omaggio. Le tre puntate di Death comes to Pemberley della BBC sono di certo ben più strutturate e approfondite, essendo questo uno di quei rari casi in cui la trasposizione televisiva supera la sua fonte. Tutto ciò sicuramente anche grazie alla presenza di un cast di tutto rispetto, con la conferma che anche dai progetti tutto sommato poco entusiasmanti, se posti in mani capaci, può venir fuori qualcosa di buono.

Matthew Rhys-Darcy e Anna Maxwell Martin-Elizabeth


giovedì 13 marzo 2014

Da "Her" a Black mirror

Ho una cotta per Spike Jonze, sceneggiatore e regista di "Her".

Spike Jonze in tutto il suo splendore dolcioso (per l'angolo gossip segnalo che è stato sposato con Sofia Coppla)

Premessa necessaria per dire come mai ho deciso di parlare di un film che di inglese non ha nulla, ma che mi è piaciuto molto, quindi condividerò in questo spazio il mio pensiero e volendo accostarlo a una serie tv inglese (ma va?) che tratta lo stesso tema: la “deriva” tecnologia che rende sempre più stretto il rapporto uomo-macchina e che  in un futuro non lontano potrebbe portare a paradossi, a volte grotteschi. Ok, detta così sembra il solito film catastrofista alla Matrix: le macchine ci distruggeranno ecc ecc… Ma non è così.
Her è la storia di Theodore (Joaquin Phoenix), timido, dolce, impacciato e con evidenti problemi ad affrontare le relazioni con l’altro sesso che per lavoro fa quello che un tempo era definito “lo scrivano”. Lui scrive lettere per gli altri. Le detta a un computer scrivendo cose personalissime (e dolcissime) come se fossero state scritte effettivamente dal mittente che si è rivolto a lui per questo “servizio” che è fornito dal sito: beatifulhandwrittenletters.com. Un lavoro in cui è bravissimo in quanto le sue lettere sono delle vere e proprie poesie. Sa capire gli altri, entrare in contatto con loro ed esprimersi come loro si esprimerebbero. Però, e c’è ovviamente un però, mentre quando si tratta dei sentimenti degli altri, Theodore sembra a suo agio, per quanto riguarda la sua vita sentimentale è un vero e proprio disastro. E’ reduce da un divorzio doloroso e non del tutto superato e vive isolato dal mondo. Una vita alienata la sua, con un’unica amica Amy (Amy Adams irriconoscibile), anche lei con vari problemi relazionali, e immersa in un mondo asettico e futuristico dove il progresso tecnologico ha di molto facilitato la vita dell’uomo, ma l’ha anche reso più dipendente da essa e più isolato dagli altri. Quello che colpisce di questa Los Angeles del futuro (ambientata in parte nella vera Los Angeles e in parte a Shangai) è il fatto che ogni elemento futuristico è probabile e possibile, facile da immaginare per noi oggi. Ad esempio tutta l’attività lavorativa e ludica di Theodore avviene attraverso un piccolo palmare touch con il quale comunica tramite un auricolare, impartendo per lo più comandi vocali, niente di diverso da Siri della Apple per esempio.



Poster di Her (In Italia esce con il titolo "Lei")


La vita solitaria di Theodore ha una svolta quando decide di acquistare un nuovissimo sistema operativo, chiamato OS (il richiamo a iOS e alla Apple è continuo anche nell’ambiente pulito, lineare e asettico in cui si muovono i personaggi), che è un sistema che cresce ed evolve acquisendo nuove esperienze, proprio come fa un essere umano. E’ Theodore che imposta il “sesso” della voce e che imposta il suo “carattere” adeguandolo alle sue esigenze rispondendo ad alcune domande personali nel momento dell’installazione. Da questo punto in poi l’Os, che ha scelto di chiamarsi Samantha, vive di vita propria: impara, cresce, conosce persone ed altri Os, prende iniziative per conto di Theodore, compone musica per lui… insomma interagisce con lui e da lui e con lui impara a scoprire il mondo. Non ci manca molto perché Theodore se ne innamori. Lei è intelligente e divertente, un poì naïve e molto dolce. Tanto che a un certo punto lo spettatore, come Theodore, si dimentica che non è una persona in carne ed ossa ma è solo la voce di un sistema operativo. Certo, il fatto che la sua voce sia quella riconoscibilissima di Scarlett Johannsson aiuta a far dimenticare che è il computer che parla e non l’attrice stessa (in tal proposito guardatelo in lingua originale perché in italiano ha l’indecente doppiaggio di Micaela Ramazzotti). Termino qui l’analisi della trama, perché dire di più toglierebbe il gusto di guardare il film.

Citazioni fighe da Her
Ciò che mi preme sottolineare e che mi ha colpita è che la storia è narrata come una normale storia d’amore. Al di là di chi siano i protagonisti la dinamica “di coppia” si svolge esattamente allo stesso modo. Al di là delle filosofiche questioni “può una macchina provare sentimenti?” o “sarà un sentimento o si comporta così perché è stata programmata?” quello su cui viene posta l’attenzione è sempre l’uomo: le debolezze e le paure di Theodore, la sua incapacità di avere nuove relazioni dopo quella con la ex moglie, il cambiamento e la crescita di quest’ultima alla quale lui non è riuscito ad adattarsi. Lo stesso, in un certo senso, gli capiterà con Samantha e porterà a un finale amaro anche se non cupo.
Inoltre l’unico protagonista della storia, per noi è Theodore. E’ solo lui che vediamo sullo schermo –per ovvie ragioni- e Joaquin Phoenix regge benissimo un film interamente sulle sue spalle. Lui è presente in ogni scena e il suo viso, fin dalla lunghissima prima inquadratura in primo piano, è il mezzo attraverso cui noi viviamo la storia, anche empaticamente. Come succede con i clienti per i quali lui scrive le lettere, Theodore entra in contatto anche con noi e ci sentiamo fin da subito vicini a lui (specie se stiamo guardando il film al computer).
Il tutto è scritto con straordinaria delicatezza (il premio oscar alla miglior sceneggiatura originale è del tutto meritato) e accompagnato da una colonna sonora che incanta fatta di dolci ballate e malinconici pezzi al pianoforte.


Veniamo ora al collegamento con la buona cara tv inglese con la serie Black Mirror che è andato in onda su Channel 4 dal 2011 al 2013 e anche su Sky dall’ottobre 2012 e su rai 4 dal novembre 2013. 

Black mirror season 1 dvd cover.

La serie si compone di due stagioni di tre episodi ciascuna, ogni episodio ha trama e cast a se stante ma tutti seguono il fil rouge comune che è quello del black mirror che è lo schermo nero dei nostri pc, smartophone, tv e tablet che è uno specchio che riflette noi stessi e l’uso che facciamo della tecnologia.  In particolare ogni episodio estremizza, fino al limite del grottesco (limite che in certi casi viene anche superato nell’episodio  1x01 The National Anthem  che è davvero, davvero disturbante!), alcuni aspetti dell’evoluzione tecnologica e come questa possa farci cambiare come individui e come società. 
Un episodio che mi ha molto ricordato Her è l’02x01, Be right back, che racconta di come una giovane donna (Hayley Atwell) si affidi a un nuovissimo servizio tecnologico per far rivivere il marito morto (Domhnall Gleeson) attraverso un software che, leggendo tutto ciò che lui ha “lasciato” in rete (sui social o nelle mail), riproduce la sua voce e la sua personalità facendolo agire come se fosse un essere vivo e pensante (diversamente da Her qui c’è anche il servizio “clone” che ti fa arrivare a casa una specie di robot che ha la pelle, gli occhi, i peli… e tutto il resto identici all’originale e infatti lo spediscono dentro una sorta di liquido amniotico che lo preserva intatto).  
Hayley Atwell in black mirror 

Il tema di fondo è lo stesso, lo svolgimento è abbastanza diverso. Però entrambi, film e serie tv, sono da vedere, secondo me, per riflettere un attimo su rapporti umani prima che sul rapporto uomo-tecnologia. 
Io almeno sono uscita arricchita da questa visione e non guardo il computer allo stesso modo di prima.

Vi lascio il trailer della prima stagione di black mirror 



e una scena di Her con una musica al piano che adoro.


e Spike alla conferenza stampa degli oscars... la dolcezza infinita!


E Spike che riceve l'oscar... ringraziando con vocina emozionata.






giovedì 27 febbraio 2014

Pompei: Giove Ottimo Massimo, perdonali perché non sanno quello chefanno!

Avvertimento allo spettatore: nessuna speranza.

 By SisterOfDemons

La trama di Pompei (2014, Paul W. S. Anderson) non è piena di buchi, in realtà è un enorme buco con dei pezzi di trama.
Dopo aver fatto questa fondamentale precisazione devo aggiungere che assolutamente non mi aspettavo il capolavoro. In effetti non mi aspettavo nemmeno un film bello, ma nemmeno un film decente, solo il classico giocattolone pieno di fuochi d'artificio, mazzate (ce ne sono abbastanza!) e poco di più, veramente.
Questo film rasenta l'orrido ed è intriso di un sacco di comicità, ahimé, involontaria. 
Senatore Quinto Appio Corvo
Non sto qui a raccontare la trama (ma quale trama?), basti sapere che c'è Milo (Kit Harington) , un celta che bazzica le arene da un po' ed è l'ultimo rimasto di una "dinastia" di allevatori di cavalli. Bene, Milo (a proposito Kit, complimentoni vivissimi per gli addominali scolpiti) è il classico sbruffoncello che ama deliziare il pubblico con battutone del tipo "Chi muore nell'arena muore da uomo libero" e altre massime altrettanto scontate. Bene, quando la patrizia Cassia (Emily Browning) sta tornando da Roma  a Pompei, il suo cavallo inciampa, e indovinate chi si trova a passare da quelle parti??? Esatto, proprio Milo; che in pieno stile "Fate largo, adesso ci penso io", pone fine alle sofferenze della povera bestia. Da quel momento in poi Cassia si incapriccia del gladiatore (E sì, quando Milo è nell'arena la gente fa ovviamente tifo da stadio, al grido di "Celta, celta", che inquietantemente mi ricorda il famoso "Ispanico" di Decimo Massimo eccetera eccetera) e ce li ritroviamo in mezzo a ogni pié sospinto, e fin qui tutto bene, sarebbero anche i protagonisti. A mettere i bastoni tra le ruote ai due giovani è il cattivone di turno, tale corrotto senatore Quinto Appio Corvo (Kiefer Sutherland), che sbatte in faccia a tutti il famoso "Lei non sa chi sono io" e che aveva puntato Cassia quando lei era ancora a Roma.
Kit e Gli Addominali di Kit
I dialoghi sono scontati quando va bene, (Senatore: "Sei coraggioso, lo riconosco, ma nessun selvaggio potrà mai sconfiggere un romano!" Milo: "E venti selvaggi ce la fanno?"), agghiaccianti quando va male ("Quelli che vanno a morire ti salutano". Really? Siamo così cretini da non riuscire ad afferrare il buon vecchio "Ave Cesare, morituri te salutant"? Io non credo, ma comunque...).
Ogni tanto, giusto per ricordare che è un film sull'eruzione del Vesuvio, c'è la terra che trema. Tutti sono spaventati a morte, tranne il best friend forever di Milo, Attico (Adewale Akinnuoye-Agbaje. Non so cosa ho scritto...) che liquida il tutto con "Tranzolli, è solo la montagna".
Proprio ad Attico va il premio per la morte più divertente. Intorno a lui c'è lo sfacelo totale, lava, lapilli, morti, urla e grida, lui si ferma ed esclama: "Quelli che vanno a morire ti salutano. MUOIO DA UOMO LIBERO" e poi sbam, la lava se lo inghiotte, tipo la classica scena dell'autobus che investe il passante. Comico.
Attico e Milo
Tutto il resto del film consiste sostanzialmente in battute che non fanno ridere nemmeno i dementi, Milo e Cassia che pomiciano, lava, gente morta, combattimenti nell'arena, fumo, lava, fumo.
Nelle ultime scene si consuma il dramma.
No, non mi riferisco alla storia, ma sempre ai disastrosi dialoghi ("Forse non te ne sei accorto, ma i miei dèi sono venuti a prenderti", oppure "Vai!" "No, io non ti lascio qui!" "Guarda me, solo me").
Dopo un'ora, trentasei minuti e dodici secondi, il misericordioso Vesuvio, ringraziando Giove Ottimo Massimo, pone fine alle indicibili sofferenze dei protagonisti e alle ancor più indicibili sofferenze dello spettatore.
La recitazione è un pianto amaro, nessuno brilla per bravura, i personaggi, seppur presentati con un minimo di background, come nel caso di Milo, sono profondi quanto una pozzanghera, tristemente bidimensionali, stereotipati all'ennesima potenza. 
Milo e cassia
Gli effetti speciali lasciano abbastanza a desiderare. L'unica cosa su cui alla fine possono puntare i film di questo genere, qui è stata trattata in maniera alquanto scarsa, in un punto o due mi è addirittura sembrato di intravedere i green screen dietro ai protagonisti, e in un certo momento, sono sicura perché ho rivisto il pezzo in questione più volte, c'è del fumo fermo alle spalle di Attico. Fermo. Il fumo.  

Ogni volta che in un cinema viene proiettato Pompei, da qualche parte un Bruno Heller muore.



venerdì 21 febbraio 2014

L'uomo che odiava Sherlock Holmes: maneggiare con cura (è scritto da un americano!!!)

Copertina del romanzo
by SisterOfDemons
(Attenzione. Il post contiene spoiler, ma ritengo di esser stata veramente magnanima, in quanto non ho scritto chi è l'assassino!!!)

Da buona amante degli inquilini di Baker Street mi sono approcciata con un certo distacco e una certa freddezza a “L’uomo che odiava Sherlock Holmes” di Graham Moore, romanzo letto ormai un po' di tempo fa. Ciò che mi aveva incuriosito era stato proprio il titolo (che tra l’altro pensai avessero assurdamente tradotto: l’originale inglese è “The Sherlockian” ossia il fan, non l’hater, ma passiamo avanti).
Arthur Conan Doyle
So che esistono romanzi apocrifi con protagonista Sherlock Holmes, ecco, quelli, di cui non so e non voglio sapere niente, li avrei decisamente lasciati sullo scaffale della libreria, ma in questo caso mi trovai a fare un'eccezione, in quanto il protagonista non è Sherlock Holmes, bensì direttamente il suo creatore.
Tra i personaggi del libro (che ha doppia ambientazione temporale, ovvero inizi del '900 e 2010) oltre allo stesso Arthur Conan Doyle, figura il suo amico (e noto scrittore, anche se all’epoca in cui si ambienta il romanzo è ancora solo un frustrato impresario teatrale) Bram Stoker e il contemporaneo Harold White, membro dell’esclusivo gruppo degli “Irregolari di Baker Street”, un ventinovenne un po’ asociale e sfigatello a cui si unisce in seguito la misteriosa giornalista Sarah.
I fatti narrati sono chiaramente di fantasia, anche se attingono in parte alla vita del reale Arthur Conan Doyle, che fu preda di un brutto calo di popolarità, cominciato da quando aveva deciso di uccidere la sua creatura più famosa. Qui finisce la base storica e inizia la discesa nella fantasia più sfrenata (e a volte non nego, anche perversa e "da presa per il culo") di Moore. 
Bram Stoker
Agli affezionati lettori di ACD non era piaciuto affatto il modo in cui aveva liquidato Sherlock, perciò Arthur non si stupisce molto quando riceve un pacco esplosivo: qualcuno sta tentando di spaventarlo, m,a lui è deciso a non farsi prendere dallo sconforto, così, assieme al summenzionato amico Bram Stoker (l’autore fornisce un’immagine simpatica e un po’ triste del papà di Dracula, a mio avviso l'unico vampiro letterario degno di essere esposto nella mia libreria) comincia a indagare, ma viene presto consultato da Scotland Yard a proposito di una serie di efferati omicidi che coinvolgono giovani donne fatte passare per prostitute.
Sono rimasta parecchio stupita dal modo in cui Moore aveva descritto Conan Doyle, mi pareva che qualcosa non tornasse e che gli fosse stato fatto un grave disservizio, così ho fatto qualche ricerca e ho scoperto di avere un’idea completamente sbagliata dello scrittore: in realtà, come scrive giustamente GM, Conan Doyle è un uomo un po’ antipatico, profondamente convinto della superiorità maschile, con un disprezzo per quasi tutte le donne eccetto la moglie malata Touie e il suo amore platonico Jean. 
Ma torniamo alla storia: convinto di possedere le stesse capacità investigative di Holmes, Conan Doyle si mette a giocare al detective e dopo qualche tempo apprende che c’è un collegamento tra il pacco bomba inviatogli e le donne uccise: ci sono di mezzo le terrificanti suffragette che sono secondo Doyle l’undicesima piaga d’Egitto. (L’episodio descritto nel libro è puramente di fantasia, ma è vero che all’epoca Arthur Conan Doyle ha collaborato spesso con Scotland Yard, ottenendo però, a differenza di quanto narrato nel libro, dei risultati alquanto deludenti.).
Holmes e Moriarty alle Cascate di Reichenbach,
 illustrazione di Sidney Paget
Nel presente invece l’uomo del momento è Harold White, ritrovatosi (non troppo "suo malgrado", in quanto, come si suol dire, ci inzuppa il pane) a indagare sull’omicidio di Alex Cale, studioso di Conan Doyle e presunto scopritore del diario perduto dell’autore. Secondo alcune supposizioni, il diario (che nel racconto esisterebbe davvero, senza essere mai realmente saltato fuori) avrebbe dovuto contenere la descrizione del celeberrimo “Grande Iato” ossia quel lasso di tempo che va dalla “morte” di Sherlock Holmes alle cascate di Reichenbach alla sua ricomparsa nel caso del mastino dei Baskerville.
Anyway, il giorno della presentazione di questa “sacra reliquia”, Alex Cale viene trovato morto nella sua camera d’albergo, strozzato con un laccio di scarpa. Harold, che in realtà è un ragazzo geniale, ma ingenuo e sognatore, viene preso da una frenesia incontenibile e avvia un’indagine parallela a quella ufficiale. L’omicidio, Harold presume, è opera di uno sherlockiano: solo così riesce a spiegare alcuni indizi, tra i quali spicca una parola scritta sul muro col sangue della vittima: “Elementare” (Graham, madonna che fantasia, ti sei sprecato!).
Harold viene dunque ingaggiato da Sebastian Conan Doyle (discendente di Arthur) affinché recuperi il diario, che nel frattempo è sparito, e lo restituisca al legittimo proprietario.
Le indagini di Arthur e Harold si svolgono quindi in parallelo; entrambi giungono a sconvolgenti rivelazioni: Conan Doyle capisce che in realtà sente la mancanza della sua creatura più di quanto pensasse possibile; è vero, in un certo momento della sua vita ha odiato profondamente Sherlock e il fatto che la fama di quest’ultimo superasse la sua (da qui la traduzione italiana del titolo, che stando così le cose acquista un senso) lo ha profondamente irritato, ma è ora di gettarsi tutto alle spalle e far “risorgere” l’inquilino del 221B di Baker Street. Ciò che lui ha scritto nel diario quindi, potrebbe irrimediabilmente rovinare la reputazione di tutte le persone coinvolte nei fatti narrati, così Bram Stoker, per proteggere un po’ tutti quanti, all’insaputa di Arthur fa sparire l’oggetto incriminato.
Illustrazione di Sidney Paget, Strand Magazine
Ciò che Bram ha nascosto nel passato, viene ritrovato da Harold e Sarah nel presente.
La storia si interrompe qui, con i due che sul suggestivo sfondo delle cascate di Reichenbach si accingono a leggere gli eventi del cosiddetto “Grande Iato”.
Che dire, questo libro certamente è anni luce dall'essere un capolavoro, ma tutto sommato è scritto benino. Mi addolora il fatto che ci sia una serpeggiante scarsa considerazione per il povero John Watson, (anche se il binomio Holmes - Watson si riflette un po' in quello ACD - Stoker, con quest'ultimo nei panni del povero scemo che alla fine però salva la baracca) e la cosa ha contagiato anche me, in quanto non l'ho nominato per niente. Scusa caro. Prende allegramente in giro gli ossessionati di Sherlock Holmes, in pratica descrive un "fandom" dilaniato dalle lotte interne (mmm, mi ricorda qualcosa...) e da gente che ci crede veramente. Nonostante tutto è una lettura simpatica, uno svuota-cervello con poche pretese, impreziosito da citazioni dell'opera originale. In fondo il suo protagonista (quello contemporaneo) è un nerd asociale, scialbo ma genioide, che alla fine si becca la gnocca della situazione. 
Graham Moore è americano (sceneggiatore di The Imitation Game, il film con Benedict Cumberbatch nel ruolo di Alan Turing. Quando si dice la coincidenza...) e io rimango fermamente convinta che gli americani dovrebbero essere puniti ogni volta che toccano qualcosa di inglese, perché in un modo o nell'altro lo distruggeranno, però in questo caso non posso dirgli più di tanto, in quanto trovo che alla fine lo spirito di Arthur Conan Doyle sia stato essenzialmente rispettato, anche se, devo ammetterlo, in qualche occasione si scivola tristemente nell'americanata.