giovedì 30 gennaio 2014

Ironclad: arte della guerra a grandi livelli (e poi c'è James Purefoy...)

 
Il mio DVD di Ironclad, in compagnia del cofanetto di GoT.

by Sister Of Demons
Ho visto per la prima volta Ironclad (2011) su Rai 4 (la Rai è piena zeppa di robe disgustose e compie scelte discutibili un giorno sì e l'altro pure, ma ogni tanto qualche soddisfazione riesce a darmela), una sera in cui avevo freddo ed ero bella infilata nel mio lettuccio, con una pesante lezione di Diritto Civile il giorno successivo. Non mi andava di far tardi col pc e avevo optato per una scelta facilmente fruibile.
Il film mi è piaciuto parecchio, sia perché c'è gente tutta infangata e zozza di sangue che combatte come se non ci fosse un domani, sia perché raccontava l'assedio al castello di Rochester, avvenuto durante il regno di uno dei sovrani inglesi più controversi: Giovanni Senzaterra.
L'anno è il 1215 e Re Giovanni ritiene di aver subito un grave torto con la firma della Magna Carta, per questa ragione decide di assediare e conquistare tutte le fortezze più strategiche del sud dell'Inghilterra, aiutato da un esercito di mercenari danesi. Ovviamente il gruppo di eroi, composto dal Templare Thomas Marshall, dal barone William d'Albini e da altri sgangherati compari, con la benedizione e l'accordo dell'Arcivescovo di Canterbury, decide di entrare in azione e di soccorrere Reginaldo di Cornhill, che abita il castello di Rochester da quando Giovanni ha firmato la Magna Carta.
Il film è tutto incentrato su questo singolo episodio dell'assedio, non si preoccupa di mostrare il background dei personaggi, in un certo senso è un bene, c'era il rischio che diventasse una roba troppo melensa. Tra scavicchiamenti di mandibole, squartamenti di vario genere, torture perpetrate ai danni dei protagonisti, il tutto condito con abbondante fiume di sangue, Ironclad è entrato di diritto tra i miei film preferiti.
L'accuratezza storica in alcuni punti non è il massimo, per esempio l'esercito di mercenari utilizzato dal re non era danese, bensì formato da soldati provenienti da Belgio, Provenza e Aquitania. Ma insomma ci sono passata sopra, chissene. Non si sa con certezza quanti fossero i soldati guidati da l barone d'Albini, secondo il film sono quattro gatti, ma insomma...chissene!
Come spesso purtroppo accade il film scivola nello stereotipo, specialmente per quanto riguarda la figura di Re Giovanni e quella del Templare Thomas Marshall. Il personaggio è inventato, comunque ispirato alla figura di Guglielmo il Maresciallo, e come di consueto in questi film, appare fin dall'inizio turbato dalla sua situazione personale. Lui è un uomo tutto d'un pezzo, ligio al dovere e con una capacità di resistenza non indifferente. Durante tutto il film fa essenzialmente sempre le stesse cose: prega, sfracassa le ossa degli avversari, prega, taglia in due gli avversari, prega, sbudella gli avversari e poi prega di nuovo. Tutto quanto giusto, come nel Manuale del Perfetto Templare, fino a quando l'assedio diventa insopportabile, il cibo comincia a scarseggiare e l'unica cosa commestibile rimane il suo cavallo (che non si tocca, regola Templare!)e lui comincia a svalvolare appena la castellana, Isabel, giovane moglie di Reginaldo, comincia a mostrare interesse. Alla fine poveraccio cede, lei è parecchio insistente e durante un assedio non è che ci sia poi molto da fare.
Alla fine muoiono tutti di una morte atroce, tranne il nostro protagonista, che viene prontamente sciolto dai suoi voti religiosi, la sua bella e il giovane scudiero del barone d'Albini.
Il cast del film è d'eccezione: James Purefoy interpreta il protagonista (già solo questo vale la visione), Paul Giamatti è Re Giovanni, Brian Cox è Guglielmo d'Albini, tra gli amiketti del nostro eroe c'è il nostro amico Orell di Game of Thrones, al secolo Mackenzie Crook, e, udite udite, a un recente rewatch ho realizzato che il giovane scudiero Guy è nientepopodimenoche il nostro piccolo Riccardo III aka Aneurin Barnard, o come dice Marnie "Il ragazzetto tisico di The White Queen". Last but not the least, il caro Nonno Tywin Charles Dance interpreta magnificamente e col giusto grado di viscidume che contraddistingue tutti gli uomini di Chiesa, l'Arcivescovo di Canterbury.
Ironclad, come spesso accade ai film indipendenti, ha avuto una storia piuttosto travagliata, tra attori che si sono avvicendati per i vari ruoli (quella zocc...ehm, attrice Megan Fox ad esempio venne sostituita in corso d'opera con Kate Mara, che comunque è americana e a me gli americani che fanno gli inglesi mi fanno accartocciare le orecchie 2 volte su 3. Anche Paul Giamatti è americano, e benché io pensi fermamente che far interpretare un re inglese a un americano sia quasi un crimine contro l'umanità, devo comunque ammettere che Paul Giamatti sa il fatto suo) e altre sventure che capitano ai film indipendenti.
Ecco, a questo proposito, solitamente guardo poco i film indipendenti, ho il pregiudizio che siano tutte robe hipster e pretenziose, ma siccome questo raccontava una vicenda storica ho ben pensato che il "pericolo hipster" fosse scampato. Il buon Jonathan English (non so di che nazionalità sia, ma devo proprio dire nomen omen, uno che si chiama così non poteva non fare un film sulla storia inglese) mi pare che lavori bene, a parte qualche summenzionata inesattezza storica le cose scorrono lisce come l'olio. Il film è parecchio cruento, ma le scene di battaglia sono parecchio accurate e realistiche. I costumi mi sembrano adatti, ma sono sotto assedio, tutti zozzi, feriti e tristi, quel che indossano riflette la loro situazione e non essendo io un'esperta di abbigliamento medievale non posso né confutare né confermare se siano appropriati.
Recentemente ho scoperto che è pronto un sequel, ambientato un anno dopo l'assedio di Rochester, e tra i protagonisti troveremo Michelle Fairley, a dimostrazione del fatto che gli attori di GoT sono ovunque e conquisteranno il mondo.

domenica 19 gennaio 2014

Top six di Sister Of Demons - parte seconda: Saghe&Trilogie


Parte della mia "biblioteca", più o meno si intravedono tutti i libri di cui parlo! (Sono pigra e non avevo voglia di inserire tremila foto, sorry!)

by SisterOf Demons
Tecnicamente ho già scritto un post sulla mia top six di libri preferiti, ma consapevolmente mi sono lasciata una bella "scappatoia": non ho inserito nessun libro che facesse parte di una saga o di una trilogia, dicendomi che in questo modo avrei successivamente stilato la presente lista. Per questa ragione ecco che presento un'altra top six libresca, contenente libri indissolubilmente legati tra loro in una serie (è un crimine separare i fratellini che si vogliono tanto bene, no?).
Faccio notare che nella lista non ho inserito Il Signore degli Anelli, benché io abbia letto tutti i libri, c'è qualcosa nello stile di Tolkien che non mi convince completamente (lo so, probabilmente più di qualcuno mi manderà a quel paese e desidererà che io bruci all'Inferno per questa eresia, ma non posso più tenermelo dentro: la trilogia, in alcuni punti, mi ha fatto letteralmente dormire). Riconosco al buon caro T. Il merito di aver creato un universo stupendo, curato forse più in aspetti, ad esempio quello filologico, di cui io non capisco praticamente un tubo. In ogni caso se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro, non s'è inventato niente di nuovo, Ariosto e Tasso scrivevano di anelli che rendono invisibili e di battaglie già secoli prima di Tolkien, e non era niente di nuovo nemmeno per loro. 
Detto ciò non sto affermando che Il Signore degli Anelli mi faccia schifo e che Tolkien sia un ciarlatano, solo che non lo metterò nella mia top list, riconoscendo a lui il grandissimo merito di aver aperto la strada a un genere che altrimenti avrebbe avuto più difficoltà ad emergere e attribuendo alle scellerate case editrici la colpa di aver lasciato proliferare tutta una massa disgustosa di opere, mediocri nel migliore dei casi, che oggi più che mai infestano le librerie.
Bando alle ciance e passiamo ai fatti. Ecco la mia Top six 2.0 : Saghe&Trilogie.

1)Harry Potter - J.K. Rowling 
Ma come, vi chiederete, non mette il SDA e mette questo? Ebbene sì. HP mi ha aperto un mondo. La Pietra Filosofale è stato il primo vero libro che ho letto per il puro piacere di farlo ed è stata altresì la saga che ha risvegliato l'anglofila che è in me. Letture da bambini? Sì e no. I primi libri non accontentano certo i palati raffinati dei lettori più adulti, lo stile non è certo il top e anche se col tempo migliora parecchio, non si può dire che sia sempre eccellente. Ma insomma, chissenefrega! Questa storia ha colpito fortemente il mio immaginario di bambina e ancora oggi mi appassiona come il primo giorno. Non sarà impeccabile, ma quello che io ripeto sempre è che Harry Potter va letto con il cuore e non con la testa.

2)Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco - George R.R. Martin
Croce e delizia di ogni buon appassionato del genere. Ancora incompiuta, fa dannare l'anima di molta gente e a più livelli. Nei periodi di maggiore sconforto tutti abbiamo pensato che non vedremo mai la fine, e se la dovessimo vedere, quando la dovessimo vedere, sono sicura che sarà una conclusione aperta, amarissima, non sempre digeribile e soprattutto alla cazzo di cane ( chi ha letto i romanzi autoconclusivi dello zio sa benissimo che lui e i finali soddisfacenti viaggiano su binari paralleli). 
L'altra opzione, molto cinica, è che con la lentezza con cui scrive, molto probabilmente Martin morirà prima che qualcuno riesca definitivamente a poggiare le chiappe sul Trono di Spade.

3)La Ruota del Tempo - Robert Jordan e Brandon Sanderson
Con questa saga è accaduto ciò che tutti i summenzionati fan di Martin temono: Jordan è morto prima di mettere la parola "fine" alle avventure di Rand al'Thor e compagni. 
Visto che mancavano pochi libri alla fine e che l'autore aveva lasciato numerosi appunti, si decise di far terminare l'opera a Brandon Sanderson, che, ringraziando gli dèi, scrive veramente bene e si è dimostrato all'altezza del compito affidatogli. Io non ho affrontato la disperazione che molti lettori hanno provato alla morte di R.J. Perché mi sono avvicinata a questa saga quando era già bella che conclusa. Non è semplice accostarsi a essa, in quanto molti si scoraggiano per la mole (14 libri di minimo 600 pagine cadauno, più un prequel),per il fatto che in Italia alcuni dei libri sono di difficile reperimento e quelli che ci sono costano una fortuna. Alla fine però, almeno per quel che mi riguarda, vale la pena.

4)La Prima Legge - Joe Abercrombie.
Non c'è niente da fare, gli americani sanno scrivere fantasy. Ma gli inglesi mica scherzano! Questa trilogia in particolare mi piace perché i protagonisti sono tutti estremamente sfigati, brutti e stronzi. Non c'è una figura veramente positiva in nessuno dei tre libri. Alla fine della storia un protagonista viene detronizzato, un altro si ammala ed è in fin di vita, una viene fatta sposare ad un Inquisitore storpio ed eunuchizzato(?), un altro diventa re, ma è costretto a lasciare la donna che ama per sposare una lesbica. Non a caso Abercrombie è stato da parecchi definito l'erede di Martin. Ancora deve perfezionare qualche cosa, ma in quanto a sadismo e crudeltà ci siamo. 

5)Trilogia di Magdeburg - Alan D. Altieri
Sergio Altieri è il traduttore italiano di ASOIAF, ma sa anche il fatto suo quando si parla di scrittura. È una trilogia ambientata durante la Guerra dei Trent'Anni, in un Europa dilaniata dalle guerre religiose. Lo sfondo è quindi storico, ma Altieri strizza l'occhio a qualche elemento soprannaturale. Sono molto affezionata a questa storia perché ne scrissi tempo fa una recensione su un blog ( che ora è allo sfascio, tra parentesi, non per colpa mia, ma per colpa del webmaster, ci tengo a precisarlo) e lo stesso Altieri mi mandò una mail in cui mi faceva i complimenti. La mia recensione era stata sostanzialmente positiva, anche se avevo messo in luce alcuni difetti. Lui fu gentilissimo, dimostrandosi veramente una brava persona, accettando complimenti e critiche da vero signore e non si può dire lo stesso di tutti gli scrittori. Aggiungo che io mi comportai per giorni come una fangirl impazzita, perché cazzo, Altieri mi ha scritto!

6)La Torre Nera - Stephen King
Chiudo la rassegna con un lavoro del Re. È una di quelle saghe che si amano o si odiano, senza vie di mezzo. La "compagnia" (sarebbe meglio dire ka-tet) che mette insieme King è alquanto bizzarra: tre americani (tra cui un tossico, un'attivista di colore in sedia a rotelle e un bambino tecnicamente morto), un "bimbolo"(una sorta di animaletto parlante, assimilabile a un cane) e un Pistolero di un "mondo alternativo", ultimo di una stirpe dal lignaggio nobilissimo. La stesura di questa saga fu un vero e proprio parto. A un certo punto King aveva perso l'ispirazione e abbandonato il lavoro a metà, poi aveva ricominciato a scrivere, ma era stato investito da un ubriaco al volante e la conclusione s'era fatta ancora più lontana. Alla fine non solo King c'è l'ha fatta, ma ha pure scritto un bel midquel, pubblicato in Italia l'anno scorso. Tutto è bene quel che finisce bene!

sabato 18 gennaio 2014

Top Six: I libri di Marnie


by Marnie

Forse non i libri più belli, ma sicuramente per me i più significativi

1. Agatha Chistie - Dieci piccoli Indiani 


Nessun libro è per me importante come questo. La lettura che quasi certamente mi ha reso l'anglofila che sono ora. Una lenta e dolorosa spedizione punitiva. Dieci persone da diverse estrazioni sociali vengono attirate a Nigger Island da un misterioso ospite. Una Nancy Owen

inizia a ucciderli uno a uno, molto lentamente. Non hanno possibilità di tornare in Inghilterra per vari motivi e sono bloccati lì, a guardarsi le spalle gli uni dagli altri. Penso che sia con "Trappola per topi" , il primo Human Trap Book della storia. 


Come ogni libro della scrittrice britannica, la scrittura è estremamente semplice e dinamica. Ricordo che riuscì ad indovinare abbastanza velocemente l'assassino, ma non importava, la cornice era assai più interessante. Il piano che alcuni degli ospiti progettano per proteggersi a vicenda, è in assoluto la parte più triste di questo giochetto mortale e si percepisce fin dall'inizio che non andrà a buon fine. I condannati a morte non ispirano simpatia o almeno a me non ne hanno mai ispirata. Non si riesce a tifare per loro.
Il capolavoro supremo di Agatha Christie.



2. Jane Austen - Persuasione


Il libro che ha rafforzato ancor di più la mia anglofilia. La mia tardiva scoperta di Jane Austen è stata una delle più piacevoli sorprese. Per me Jane Austen vive ancora in un mondo parallelo, né lei, né i suoi libri sono morti o finiti nel dimenticatoio, né lo saranno mai. Essendo una Austeniana atipica, considero questo libro più bello di "Orgoglio e Pregiudizio", che il a mio avviso, viene erroneamente considerato il libro identificativo della Austen. Il mio giudizio su quest'ultimo si intona con il sentore generale. E' un capolavoro, ma non c'è solo quello dietro a JA. 

Da molti considerato la sua "eccezione". Il libro meno simile agli altri, un traguardo di maternità e forse di rimpianto. La storia si basa su Anne Elliot, che la Austen riteneva un personaggio "venuto fin troppo bene". Eroina atipica perchè altolocata (altra eccezione insieme a Emma Woodhouse) e non più nel fiore degli anni. Vive nel rimpianto di aver respinto l'unico uomo (ai tempi povero), che avrebbe mai potuto amare che l'unico che la amava. Quando torna ricco e più bello di prima, si accorge di non essere la sola col cuore spezzato. Una delle cose che amo di più in questo romanzo, oltre alla storia sono le persistenti rivendicazioni femminili che Jane Austen mette nero su bianco, una su tutte quella della "penna che è sempre stata nelle mani degli uomini". 

3. Jasper Fforde - Il Caso Jane Eyre

Scoperto per caso vagando in libreria attirata dal titolo e ho trovato un tesoro. Una saga intelligente, intrigante e scritta magistralmente. Ambientata in un 1985 diverso, dove ogni aspetto della vita (dalla sparizione dei libri ai vampiri) è gestito da varie sezioni delle "Operazioni Speciali" e dove una Detective Letteraria di Swindon (sì, i libri sono considerati dei beni preziosi che rischiano di essere tramutati in dei falsi) Tuesday Next deve affrontare il fatto che un potente criminale sia riuscito a rapire Jane Eyre dal suo romanzo, tramite una macchina inventata dallo zio Next, Mycroft. 


Oltre a possedere un saldo protagonista femminile, man mano che si procede con gli altri libri della saga (Persi in un buon libro, Il Pozzo delle Trame Perdute e C'è del Marcio, tutti editi da Marcos Y Marcos) si rimane scioccati da quante idee innovative Jasper Fforde (che riuscì a far pubblicare il primo libro dopo settantasei rifiuti) è riuscito a rappresentare. 


4. George R.R Martin - Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco

Sono una profana del fantasy. Sono una brutta persona perché amo visceralmente questi libri che tanto devono a J R.R Tolkien, mentre non apprezzo neanche un pò quest'ultimo.
Ne ho parlato così tante volte che a volte temo che i muri di casa mia si rivolteranno contro di me strozzandomi e mettendomi a tacere una volta per tutte. 

La storia delle Cronache può durare un'ora o tre giorni, a seconda di come la si voglia raccontare. Tanti, tantissimi personaggi si muovono sul mosaico dei Sette Regni. Un romanzo quasi "corale". Ogni capitolo è infatti narrato dal punto di vista di un personaggio, per me il punto di forza della struttura narrativa. Un mondo crudo e pieno di violenza, che non lesina in particolari sia per descrivere il più marginale dei personaggi, che per descrivere incontri amorosi. Un fantasy che non è un fantasy, ma una lotta di potere.
5. Audrey Niffenegger - La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo


Un uomo con un potere straordinario riesce a viaggiare nel tempo. Una maledizione, un demone da sconfiggere, una condanna. La cosa più sbagliata sarebbe definirlo "una storia d'amore", perché non si riduce solo a questo. E' una storia sulla sopravvivenza, sulla ricerca della normalità. 
Henry viaggia nel tempo e la vita che si sta costruendo con la sua compagna Claire viene a più riprese messa a dura prova dal fatto che lui semplicemente, a volte,  sparisce. Scompare davanti ai suoi occhi per poi ripresentarsi a distanza di giorni, settimane o a volte mesi. La storia è un flashback continuo e ammetto che a volte i passaggi temporali sono difficili da seguire, ma ne esce un gran bel libro, di quelli che ti emozionano. Non troppo melenso o prevedibile. Si piange, si piange tanto.

Premetto che al numero sei potrebbero andarci contemporaneamente cinque o sei libri, ma oggi ho scelto questo. 

6. Harper Lee - Il Buio oltre la Siepe

Il razzismo visto dagli occhi di, Scout, forse la protagonista assoluta di questo romanzo. Quando Tom Robinson, un ragazzo di colore,  viene accusato (ingiustamente) di aver molestato una ragazza bianca, il mondo conosciuto trema sotto i piedi dei protagonisti. 
Scout e suo fratello Jem assistono alla disperata difesa che il loro padre, lo stimato avvocato Atticus Finch assume per denunciare una condanna ingiusta e per la prima volta i ragazzini si scontreranno con il concetto di "Bene e Male" insito in ogni individuo. La traduzione italiana del libro, "I buio oltre la siepe" si riferisce a ciò che è sconosciuto pur essendo vicino a noi, e di come non si riescano a conoscere gli animi persone neanche dopo tanto tempo



venerdì 17 gennaio 2014

A Song Of Ice And Fire e Sister Of Demons: una felice unione che dura dal 2007



by Sister Of Demons
Ricordo perfettamente il giorno in cui ho fatto conoscenza con quella simpatica teiera con la barba che risponde al nome di George R.R. Martin. Era il 2 luglio del 2007, io compivo diciassette anni e la mia vita era bella e priva di preoccupazioni. Ero nel mio periodo "macabro", leggevo specificatamente e con particolare attenzione libri in cui fossero descritti dettagliatamente omicidi, torture e squartamenti di vario genere. Mi volevo distinguere dalle mie compagne di liceo, le cui "letture impegnate" consistevano in Tre metri sopra il cielo (o sopra qualche cosa di smielato e comunque cosparso da abbondante melassa) e poco altro. Io ero cool perchè io leggevo fantasy, mica pizza e fichi!
Quando aprii il pacchetto regalatomi da mia sorella, lei mi disse: "Ho aperto una pagina a caso e c'era gente che moriva a un matrimonio, così te l'ho preso!". Quel libro era I fiumi della guerra e quelle erano le Nozze Rosse, ma io non realizzai la portata dell'evento fino a un bel po' di tempo dopo. Lo lessi comunque, anche se faceva parte di una saga e non era nemmeno il volume di partenza. Poco dopo partii alla volta della libreria Giunti Al Punto di Frosinone (un po' di pubblicità se la meritano, sono anni che ormai mi forniscono il materiale da lettura!) e tornai a casa con un mucchio di libri (quelli pubblicati fino a quel momento) e con il borsellino decisamente più leggero, ma con la consapevolezza di aver fatto felici me e la signora della libreria. 
Da quel momento precipitai con tutte le scarpe nel vortice di sadismo e crudeltà in cui lo Zione Martin è maestro indiscusso.
Prestai il libro a mia sorella (ora è vittima anche lei, poverina) e ben presto eravamo lì, che discorrevamo amabilmente del matrimonio di Joffrey e del famoso pasticcio di piccione. La nostra follia è presto degenerata, in men che non si dica avevamo coinvolto le amiche in letture pubbliche, quiz sui libri e drammatizzazioni dell'opera (Tra i nostri evergreen spicca la lettura del capitolo in cui Sansa ascolta zia Lysa e zio Petyr che consumano il matrimonio, quella del duello tra la Vipera Rossa e Gregor Clegane e la declamazione di una frase, credo mai pronunciata, ma che per noi è entrata presto nel "canone", ovvero - detta con tono piagnucolante e odioso, à la Sansa del primo libro - "Hanno ammazzato Ladyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyy"). 
Per un periodo ho anche militato su Barriera.net, luogo adatto, inizialmente, a piacevoli scambi di idee e opinioni, ma che con l'avvento della serie TV è diventato un puttanaio di gente che shippa Tizio con Caio, che manda insulti se solo si critica la adorata Daenerys (Lagnerys per gli amici) o se si fa notare che effettivamente il rapporto tra Jaime e Cersei è un tantino insano e che comunque la si voglia mettere la cara Regina è giusto un po' mignotta.
Quando ho cominciato a leggere i libri, Game Of Thrones era forse poco più di una remota eventualità nei programmi della HBO, di strada ne ha fatta ASOIAF da quando i protagonisti erano solamente nomi  nei fantacast della gente (anche io avevo compilato il mio personale fantacast, talmente osceno e assurdo che a ricordarlo adesso mi fa scompisciare dalle risate, del tipo, non mi ricordo nemmeno perchè, che avevo piazzato Amy Winehouse nel ruolo di Lady Taena Merryweather. Rendiamoci conto!!!).
La follia prosegue anche oggi, un po' meno in pubblico e un po' più nei meandri del nostro favoloso gruppo segreto vietato ai minori. Non starò qui a disquisire di ciò che viene commentato in quel sacro rifugio delle nostre menti, perché quello che succede nel gruppo segreto, rimane nel gruppo segreto.




Top six: i libri più significativi... per la Michi

Copiando spudoratamente la Sister (of Demons), mi accingo a narrarvi dei miei sei libri preferiti. Cercherò di trovare i libri che hanno cambiato o migliorato il mio modo di leggere la letteratura, o comunque quelle opere che hanno indirizzato il mio gusto o l'hanno affinato, sperando che non si tratti semplicemente di quelle che sono più in voga "ora" nel mio animo. A pensarci un po' su sono 60, non 6, ma ci provo, datemi fiducia!
Sulla lunghezza del post non posso garantire niente: sarà assai prolisso.

1. Harry Potter
Mi considero e vado fiera di essere una della generazione riportata alla lettura da Harry Potter. La pietra filosofale è stato il primo romanzo che ho letto davvero per puro piacere personale: ero dispersa nella campagna torinese, in un paesino tanto piccolo che un unico locale fa da bar, ristorante e albergo, con questo "maghetto" come unica compagnia. Ho trovato una storia profonda, significativa, divertente, interessante... non riuscivo a mettere giù il libro, dovevo vedere come andava avanti, come andava a finire! La conclusione mi ha spiazzato. 
Harry Potter è quasi costruito come un romanzo giallo, per certi versi, in cui seguiamo le "investigazioni" dal punto di vista di Harry, e poi scopriamo solo alla fine che ci siamo completamente sbagliati, e le nostre deduzioni ci hanno ingannato. 
Il protagonista ignora molte cose, sopratutto su se stesso, e in qualche modo deve risolvere l'enigma di ciò che è sempre stato per gli altri e non ha mai saputo di essere. Ma soprattutto, la sua natura e il suo status lo portano a diventare uno studente in una scuola di magia, e non una scuola di magia come le altre: un immenso castello in mezzo alla Scozia, pieno di altri studenti come lui naturalmente, dove lui è una celebrità; fino a pochi mesi prima viveva nel sottoscala ed era il più impopolare fra i ragazzini. Durante questo suo primo anno, nella scuola, si cela un grande segreto, potenzialmente pericolosissimo non solo per coloro che si trovano lì ma per tutto il mondo...
Non starei qui a disquisire o raccontarvi la trama: sono certa la conoscerete o la trovereste più facilmente su wikipedia. Per mio conto, Harry Potter mi ha insegnato che la lettura può essere godibile e interessante, che può stimolare la fantasia e può essere semplicemente davvero BELLA!



2. Coraline
Ho scoperto solo più tardi che Coraline ha avuto la fortuna di essere stato pubblicato proprio grazie all'ondata di successo di Harry Potter, che ha permesso a certa letteratura per ragazzi/giovani adulti di avere una chance di pubblicazioni per le case editrici. Ho conosciuto Coraline grazie al cinema: sono una immensa fan dello stop motion, e qualsiasi pellicola creata con quella tecnica è per me di immenso interesse. È stato anche il mio primo film nel nuovo 3D, ed è stato un viaggio emozionate. Coraline è un libro scritto in maniera molto semplice e intuitiva, senza manierismi o termini complessi, ed è il tipo di narrativa un po' alla "Narnia" che mi piace molto, perché da facoltà al lettore di usare la propria immaginazione. Neil Gaiman è diventato, grazie a questo suo romanzo e naturalmente agli altri che ho letto (Nessundove, Stardust e L'oceano in fondo al sentiero) uno dei miei autori preferiti, se non il preferito (per il momento). Coraline è una ragazzina che per esigenze dei suoi genitori si è dovuta trasferire in parte di una vecchia casa vittoriana divisa in appartamenti. Presto scoprirà che c'è un segreto custodito dietro una piccola porta e che dovrà lottare non solo per la sua vita ma anche per quella dei suoi genitori. Coraline rappresenta quel tipo di nuovo fantasy/ storie dell'orrore / avventure che ho sempre sognato e desiderato e che più mi piace. Un vero e proprio viaggio, un insieme di piccole grandi verità ed emozioni mozzafiato.


3. David Copperfield
Lo so, il drammone dickensiano sta un po' sullo stomaco alla gente. Ma anche qui, devo troppo al giovane David per non considerarlo uno tra i miei preferiti. David Copperfield del 2000, produzione un po' becera ma con grandi interpreti come Sally Field, Hugh Dancy e Paul Bettany, è stato di fatto il mio primo period drama come Dio comanda (a parte i drammoni con Depardieu, ovviamente). 
Quando ho finalmente scoperto la letteratura (grazie a Harry, vedere punto 1), mi sono lanciata nella lettura del drammone in questione, impallidendo quando la gente mi chiedeva "Copperfield il prestigiatore?". David Copperfield è il romanzo più autobiografico di Dickens e il suo "figlio prediletto" forse proprio per questo. Impossibile non affezionarsi a questo ragazzino, a cui capitano veramente disgrazie una dietro l'altra: orfano di padre prima ancora di nascere, una madre tanto amorevole quanto ingenua, spedito dal patrigno a lavorare, scappato per ritrovare la libertà, viene infine aiutato ed educato dalla zia Betsy (meravigliosa!) che non l'aveva voluto alla nascita perché delusa dal fatto che non fosse una femmina (aveva già avuto abbastanza problemi con gli uomini, benedetta donna!). Amori e intrighi attendono comunque il giovane David anche superata l'adolescenza, e la conclusione è da manuale forse ma molto molto azzeccata a mio parere. Un grande classico sicuramente da leggere!


4. Il fantasma di Canterville
Gioiellino della biblioteca di mio fratello più grande, Il fantasma di Canterville non è proprio un libro quanto un racconto breve, ma non ha affatto per questo meno dignità di un romanzo. Oscar Wilde è uno dei miei autori preferiti per quanto manierista, borioso, strafottente e a tratti persino pretenzioso. In questo racconto però si dipana una storia piena di amore, di amicizia, di altruismo e di quella "wit", arguzia e malizia tipicamente inglesi, che mi ha subito conquistata. La copertina, ditemi la verità, non è stupenda?
Il fantasma di Canterville infesta il castello da secoli, ma quando arrivano gli americani sembra aver perso la sua capacità di spaventare... nessuno si era mai preso la briga di sapere perché fosse ancora nel limbo e non fosse passato all'altra vita, almeno fino all'arrivo dei nuovi inquilini.
Quasi una favola, oserei dire, ma come tutte le favole, adatta a tutte le età.



5. Frankenstein
Ho sempre evitato questo libro, fino a un paio di anni fa: la versione cinematografica con Kenneth Branagh mi spaventò talmente che fui certa di non poter reggere una storia come questa senza farmi prendere dal terrore. L'idea che la scienza riesca a superare la divinità, che renda l'uomo capace di creare la vita, o di ripristinarla dopo la morte, è un tema che mi terrorizzava, che andava a toccare i meandri più profondi delle mie paure. Ci è voluto lo spettacolo di Danny Boyle al National Theatre di Londra, che ahimè ho potuto vedere soltanto nei cinema e non dal vivo (nonostante ci abbia provato: sold out a pochi avventori del teatro prima di me in fila). Frankenstein o il prometeo moderno è uno dei classici del terrore, o meglio uno dei precursori se non uno dei primi romanzi di fantascienza. Il giovane Victor Frankenstein scopre una maniera per dare vita a un corpo morto: messo di fronte alla sua creatura però la abbandona, troppo abominevole e troppo orrenda. Questo abbandono creerà un mostro tanto terrificante quanto umano e porterà a conseguenze devastanti.
 Nonostante lo stile sicuramente un po' difficile da leggere, troppo manierista, troppo settecentesco a tratti, spesso monocorde, dando a tutti i personaggi lo stesso stile, resta un pilastro della letteratura, uno di quei libri che è in grado di farti passare ore a cercare di discernere il punto di vista dell'autore, il tuo punto di vista e fino a che livello questi convergono. Ti mette di fronte ai tuoi ideali, alla tua percezione della realtà e del metafisico e mette in discussione chi sei e cosa pensi: non potrei dire di meglio di nessun libro.

6. I racconti ritrovati
Sono una fan di Tolkien, più che una appassionata di fantasy in senso stretto: pochi romanzi mi hanno preso quanto quelli di Tolkien (forse Narnia, ma è completamente diverso), e ogni volta che mi si metteva di fronte all'ennesima saga, non riuscivo ad andare oltre il primo libro. E ci ho provato, giuro, ma niente valeva il mio tempo (che forse non è preziosissimo, mi rendo conto) tanto quanto un buon librone di questo tipo. Perché non il Signore degli Anelli? Perché credo che in questi racconti, che costituiscono gran parte del Silmarillion, sia infuso tutto l'amore per le leggende nordiche, per la mitologia nordica e per quel gusto dell'epico e del trionfante che è insito nella natura di Tolkien. La nascita degli dei, del sole e della luna, degli elfi, le prime grandi battaglie, la mitologia della Terra di Mezzo pura. Ho volato con l'immaginazione su terre lontane e non ancora create, le ho viste nascere, ho scoperto i reconditi segreti degli astri... il potere primario della letteratura, cioè la capacità di creare mondi, questo è i Racconti Ritrovati.

Sei sono troppo pochi, veramente troppo pochi, ma spero che vi arrivi qualcosa di interessante da queste mie troppe righe.
Buona lettura e buona scoperta a tutti!

giovedì 16 gennaio 2014

Bridget Jones incontra Lost in Austen (e così nacque Austenland)

by Jane Doe 

Ovvero: perché la Camera dei Comuni dovrebbe passare una legge per impedire agli americani di mettere le mani su Jane Austen.
Le mie giornate off-duty, ovverosia quelle in cui non vado all'università, scorrono tutte molto simili tra loro: mi alzo ad orari comodi. Mangio il mio pane tostato con la marmellata. Mi preparo il cappuccino. Lo porto con me davanti al pc. Comincia una lunga giornata tra facebook, blog, siti di ogni genere e il recupero dei miei telefilm preferiti. Se sono eccezionalmente in vena, vedo persino un film (ma dipende dal grado di impegno che il mio cervello può sopportare).
Oggi era uno di quei giorni in cui sì, potevo vedere un film. Ce la potevo fare, sul serio. Era ormai da un po' che ponderavo sulla possibilità di vedere o meno Austenland, e oggi mi sono convinta a farlo.


Beh, dovrei menzionare che la mia convinzione implica un protagonista genuinamente britannico di una certa fig... ehm, prestanza fisica. Ogni giorno ringrazio la madrepatria per il livello illegale di testosterone di qualità che è in grado di produrre, ma mi fermo qui, prima che gli sbalzi ormonali offuschino del tutto le mie capacità di essere coerente senza essere prolissa.
Bridget Jones la conoscete tutti. La zitella sfigata trentenne che alla fine (ancora devo riuscire a capire come. Perché è vera e sincera? mah.) si becca quell'altro gran figo (anch'esso guarda caso genuinamente inglese) di Mark Darcy, per gli amici Colin Firth. E fin qua ci siete.


Lost in Austen è una miniserie BBC (probabilmente una delle poche che siano al di sotto di un certo standard) in cui, per farvela breve, una grande fan di Orgoglio e Pregiudizio, tale Amanda Price, scopre che nel suo bagno esiste un passaggio segreto che la catapulta dritta dritta in mezzo agli eventi del romanzo. Lei fa un gran casino, ribalta la trama orginale (e davvero, se non sapete di che parla Orgoglio e Pregiudizio perché siete ancora su questo blog?), e come premio si becca il miglior mister Darcy che la storia ricordi (perché ogni tanto si discosta dal personaggio originale, e quindi è meno rompiballe). Bene.


Austenland, incredibile ma vero, riesce ad unire tutti gli elementi peggiori delle due trame e a trarne un prodotto ancora peggiore come risultato. Non ci credete? Aspettate e vedrete.
La protagonista, una dolce e single trentenne americana (il fatto che sia americana mi dispiace ma ha rilievo) affetta da una delle peggiori forme di Darcysmo (ovvero: sindrome da ricerca di Mister Darcy nella vita reale) che abbia mai visto, decide di dare una svolta alla sua esistenza dopo l'ultimo fallimento amoroso.
La sua casa sembra l'ultimo avamposto di Porta Portese, un mischiume di oggetti discutibilmente d'epoca: porcellane decorate all'inglese, pizzi e merletti in ogni dove, scritte del tipo "I love mr Darcy" e una meravigliosa scritta "Mr Darcy was here" (Mr Darcy è stato qui) sopra il letto a fare il paio con il cartonato di Colin Firth (versione Darcy- quello vero, non quello di Bridget Jones) accanto alla porta d'ingresso.
E qual'è la svolta che la nostra dolce Jane (nome della protagonista. Non commenterò) decide di dare? Come dite? Sbarazzarsi della roba pseudo d'epoca, imparare a discernere tra realtà e romanzo e iniziare a cercare un uomo in carne e ossa capendo che Mr Darcy non è reale?
Non siate ridicoli! OVVIAMENTE il modo migliore per guarire è una vacanza a Austenland, ovvero la tenuta di una ricca signora inglese in cui gli ospiti sono obbligati a vestirsi e comportarsi come nell'epoca regency.
La parte migliore è che, compreso nel pacchetto, hai la certezza che a un certo punto uno dei gentiluomini (che sono attori) inizierà a corteggiarti, dandoti la possibilità di vivere tu stessa la tua storia da Jane Austen.
E quindi seguiamo il percorso di Jane che si prepara al viaggio: l'amica con un po' di sale in zucca che tenta di dissuaderla dal fare una cosa che le prosciugherà il conto in banca, lei che fa orecchie da mercante sostenendo che deve prendersi una pausa dalla modernità e che lei è una persona NORMALE, NORMALISSIMA, CON UNA SANA PASSIONE.
Arriviamo in Inghilterra e, finalmente, nella fatidica Austenland. Il viaggio inizia male: la padrona di casa le comunica che lei ha pagato "il pacchetto base" e quindi il suo ruolo all'interno della vicenda è quello più basso nella scala sociale inglese. Durante la prima sera veniamo presentati agli altri personaggi: ci sono altre due ospiti, anch'esse donne, e due gentiluomini (attori). Vi risparmierò lo sviluppo centrale. Vi basti sapere che le due ospiti donne iniziano a flirtare con i due attori, mentre invece la nostra Jane si lascia andare con lo stalliere. E, ovviamente, l'imbecille si innamora. Ed ecco l'elemento di disturbo: il terzo uomo studiato per adempiere alla trama sapientemente orchestrata dalla padrona di casa, il capitano qualchecosa di ritorno dalla Indie Occidentali, arriva e si getta (letteralmente) sulla protagonista. Lo stalliere, che a quanto pare faceva sul serio pure lui, si ingelosisce e la pianta.
Lei inizia ad avvicinarsi al gentiluomo scostante, tale Mr Nobley, con cui ha battibeccato la prima sera e che è l'unico vero motivo per guardare questo film. A colpi di gag allucinanti e grottesche, scivoliamo verso il ballo che conclude la trama: Mr Nobley si dichiara alla nostra protagonista, la quale gli risponde picche perché (preparatevi) "vuole una cosa reale" (ed è per questo che si è gettata in questa tana di pazzi) e se ne va, scappando di nuovo dallo stalliere che nel frattempo ha tentato di scusarsi con lei. No, non è la trama di Beautiful. Beh, comunque i due sembrano innamorati sul serio, e quindi pensiamo di avviarci verso il lieto fine che concluderà l'agonia (per fortuna durata solo un'ora e mezza). Sbagliato! Con uno sconvolgente (?) colpo di scena finale, si scopre che lo stalliere non è solo un figurante pagato per tenere in ordine la tenuta, ma è un vero e proprio attore, quello pensato per lei. Jane si arrabbia tanto, tantissimo, e se ne torna nelle colonie, completamente guarita da qualsivoglia mania austeniana. La vediamo persino gettare via il cartonato di Darcy. O forse no, perché nella scena finale è ancora lì, accanto alla porta.
E chi ti varca quella soglia? Nientedimeno che il nostro mr Nobley, il quale non era uno degli attori come Jane pensava, ma un altro ospite che come lei "si era rifugiato in un mondo più semplice", e che quindi è davvero innamorato di lei. A questo punto lei lo accetta e tutti vissero felici e contenti.
Tranne lo spettatore che ha dovuto sorbirsi 'sta roba.
Se vi state chiedendo cosa mi abbia convinto a vedere questo film, vi risponderò con due parole: JJ Feild, attore inglese figo e bravo, che per tutto il film sì recita, e a un livello decisamente più alto degli altri, ma gli si legge anche benissimo in faccia "Ma che ci faccio qua? Ah già, questi mi pagano e io ho un figlio appena nato da sfamare"
Lo so, caro. Anche io mi sento così.
Perché davvero, non c'è altro motivo.
Comunque, devo essere totalmente sincera: le parti pensate per essere comiche lo erano davvero. Il problema è che non fanno ridere solo quelle, ma tutto il film.
Ora scusate, vado ad accendere una candela all'altarino di Jane Austen. Devo chiedere perdono.
Tra l'altro, non sentivo un accento inglese così orribilmente stroncato dai tempi di Quattro Matrimoni e un Funerale. Austenland batte record su record!

Top six: i miei libri "preferiti"

by Sister Of Demons

L'altro giorno mi è venuto in mente che non mi ero mai veramente fermata a riflettere su quali fossero i miei libri preferiti. Innanzitutto la nozione di "preferito" è un concetto assai labile nella mia testa. Quelli che seguono (in ordine alfabetico) sono i sei libri che mi sono balzati subito alla mente nel momento in cui ho scritto il post e non sono incisi nella pietra. La "classifica", anche se poi il termine è improprio visto che è più che altro una sorta di lista, è in continuo movimento. Non sono incluse le saghe e i classici, su cui ho intenzione di pronunciarmi presto in futuri post. Dando una rapida occhiata si evince che è tutta roba fantasy (o urban fantasy) con una spruzzata di horror e un pizzico di realismo. Gli autori sono tre britannici, due americani (anglofilia allo stato puro, con una lecita incursione nelle "Colonie di Sua Maestà!) e un tedesco. Le composizioni di autori italiani mi fanno generalmente storcere il naso (tranne rarissime eccezioni) e devo dire che la roba italiana spesso la evito, trovandola, nel migliore dei casi, autoreferenziale e pomposa (e poi qui parliamo di anglofilia!).
Arrivando al dunque, ecco la mia top six, lista, vademecum, quello che è.

1)American Gods (“American Gods”, 2001) - Neil Gaiman
Qui il buon caro Neil presenta la storia di un "predestinato" a cui capitano cose abbastanza inspiegabili, che lui arriva ad accettare con mirabile "grazia". Ciò che mi piace del romanzo, è la proposizione di una cosmogonia particolare, non particolarmente ingegnosa o originale, ma sempre coerente. A Gaiman non sfugge praticamente nessuna religione (politeista o monoteista che sia) e nel libro si possono trovare rappresentanti del pantheon egizio e nordico (quest'ultimo ha un ruolo determinante nel romanzo) e anche divinità dei nativi americani e altri dèi decisamente più mainstream. Il succo della questione è che tutte le divinità esistono essenzialmente perché gli uomini le pregano e credono in loro, ma i vecchi, classici e rassicuranti dèi stanno per essere scalzati dai nuovi, il Dio Denaro su tutti.


2)Elantris ("Elantris", 2005) - Brandon Sanderson
Il primo autore americano della mia lista è noto ai più per aver completato la saga "La Ruota del Tempo" del fu Robert Jordan ed Elantris è il suo romanzo d'esordio. Si tratta di un fantasy che si sviluppa in un unico corposo volume: niente sequel e niente prequel, pane al pane e vino al vino. La vicenda ruota attorno alla decaduta città di Elantris e ai suoi disgraziati abitanti, che ghettizzati dagli altri cittadini del regno, si organizzano e si ribellano al potere costituito, ristabilendo l'ordine e la democrazia. Un fantasy con tematiche classiche, che tuttavia è privo dei soliti cliché del genere, con protagonisti grandemente "difettosi". È quasi una sorta di "elogio del diverso" e proprio la diversità intesa come qualità positiva è la chiave di risoluzione di tutte le "tragedie" dei protagonisti.


3)Il Mulino dei dodici corvi ("Krabat", 1971) - Otfried Preußler
Ambientato nella Sassonia del XVII secolo, il libro è il più famoso dell'autore tedesco e sì, è un libro "per ragazzi". Nonostante questo è comunque triste, carico di morte e ha passaggi che mettono i brividi. Le tematiche trattate non sono a mio parere completamente apprezzabili da bambini e adolescenti, pur essendo lo stile semplice e diretto. I personaggi sono poco tratteggiati (anche se le personalità sono varie, tutte differenti) e il lettore si affeziona poco, il che è un bene in quanto buona parte di loro va incontro a una morte precoce e cruenta.
Il finale è un po' mandato in vacca dal fatto che l'amore vince sul male, ma insomma, dopo che hai ammazzato tre quarti dei personaggi, pensi che i superstiti debbano avere uno straccio di lieto fine.

4)La vendetta del diavolo ("Horns", 2011) - Joe Hill
Joe è il secondo autore statunitense della top six, figlio d'arte (il suo augusto genitore è Stephen King) e a mio parere molto talentuoso. Il libro è raccontato dal punto di vista di un "cattivo", un bravo ragazzo andato a male, per così dire, che ha cominciato a darsi all'alcolismo e al turpiloquio. La storia è tutta incentrata sull'omicidio della ragazza del protagonista (di cui lui è accusato, pur essendo innocente), ma la cosa interessante del romanzo, è che non è un crime classico, infatti l'assassino viene apertamente rivelato dopo poche pagine. Il punto saliente della questione è la "trasformazione" del protagonista, da golden boy a reietto nel giro di un secondo.  Nonostante l'ambientazione horror di fondo, l'autore mette in bocca al suo personaggio principale delle splendide riflessioni sulla fede, sulla dicotomia tra bene e male, sull'eterna lotta tra Dio (visto come un essere freddo e scostante, giusto fino al punto di diventare, paradossalmente, ingiusto)e il Diavolo (presentato non di certo come il soggetto da adorare, ma come essere a cui i deboli si affidano in quanto "consolatore" di fronte alla freddezza del Padre). La cosa bella è che alla fine il "male" vince, e il lettore non può che esserne compiaciuto.


5)London ("London", 1999) - Edward Rutherfurd
Libro che racconta la storia della città di Londra a partire, letteralmente, dal Big Bang. Non vi è un vero e proprio protagonista e nemmeno una vera e propria trama, ma il tomo comunque non risulta mai noioso. Il romanzo è suddiviso in capitoli che rappresentano le differenti epoche storiche, fino ad arrivare al XX secolo. Il lettore si immerge nella storia della City e assieme ai protagonisti assiste all'invasione dei Romani, si ubriaca nelle bettole più malfamate, applaude agli spettacoli teatrali di Shakespeare, passa una giornata in compagnia di nobili e di criminali. Non mancano capitoli spiritosi, come quello narrato dal punto di vista di un cane, e capitoli toccanti, come quelli dedicati ai sopravvissuti dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. L'ultimo capitolo mostra l'evento di uno scavo archeologico, che strato dopo strato riporta alla luce reliquie viste nel corso di tutto il romanzo, dalle monete romane fino alle pipe fumate dagli inglesi a teatro.


6)The Heroes ("The Heroes", 2011) - Joe Abercrombie
The Heroes è uno stand alone, ma in realtà è ambientato nell'universo fantasy che Abercrombie ha sviluppato nella trilogia della Prima Legge. Joe recupera alcuni dei personaggi della suddetta trilogia e li utilizza per raccontare una vicenda ambientata diversi anni dopo la conclusione della sua storia principale, che non occorre aver letto per apprezzare The Heroes. Anche qui i cliché del genere vengono ripresi e non semplicemente ribaltati, ma addirittura ridicolizzati. I protagonisti sono sporchi, brutti e cattivi. Se restano vivi comunque non hanno un lieto fine, al contrario patiscono umiliazioni e sofferenze per il puro sadismo dell'autore. L'unica pecca di Abercrombie è l'inconsistenza dei suoi personaggi femminili, insipidi al meglio, che paragonati alla caratterizzazione pressoché perfetta di quelli maschili rendono l'equilibrio della storia precario in alcuni punti. Nonostante questo però non si avverte una misoginia o un odio per la donna, semplicemente è tutto calcolato e il lettore alla fine si accorge che anche a questo c'è una spiegazione.



Avrei concluso. Noto che i protagonisti di tutti i romanzi sono sfigati e/o iettatori. Bene. Le cose facili, rosa e zuccherose non mi piacciono. O volano teste o niente.

Downton Abbey - Come andare alla deriva



by Marnie


Non sono mai stata una grandissima fan di Downton Abbey, ma la prima stagione l'avevo trovata assai piacevole. Era bello tuffarsi in un mondo antico, metodico e bidimensionale. Un piano di sopra e un piano di sotto. A tenerli saldi un pavimento di rispetto e lealtà. 
Ma andiamo per gradi. All'inizio DA non si discostava da altre serie che avevo visto se non per la suggestiva ambientazione (e lo so che vi roderà, ma io ci sono stata e lo devo far sapere al mondo). Erano storie semplici. Lord Britannico con madre che oserei definire Spettacolare (in tutti i sensi), sposa americana (che spettacolare proprio non è) e genera tre figlie, diversissime l' una con l'altra. Mary (che era il mio personaggio preferito), una donna scostante, poco simpatica e classista. Edith, una perdente nata, che si fa trascinare dall'amore (spesso presunto) dei suoi pretendenti, esaltando l'affermazione:"Meglio che finire da soli". Sybil, la progressista, ma sempre troppo perfetta e pulita nelle sue idea per destare il mio interesse. A disturbare il loro mondo ovattato e perfetto arriva Matthew, l'erede scomodo con una madre che vive "già avanti". Un personaggio che mi ha sempre trasmesso ben poco (forse mi incantavo a guardare il suo doppio mento ipnotico?)
Al piano di sotto, il maggiordomo Carson, che rappresenta la più alta espressione di Britannicità (anche a livello facciale). La sua versione femminile, Mrs Hughes, chiaramente ispirata alla divina Emma Thompson in "Quel che resta del giorno", conserva in pieno i tratti di zitellaggine e stakanovismo del suo ruolo .Oltre alla love story camerieristica tra Bates e Anna (un pg piacevole, in fondo), ci sono i cattivi (ci devono pur essere no?). La rancida cameriera di Lady Grantham e l'ambizioso cameriere Thomas. Cento ne pensano, mezza ne fanno giusta. Come contorno della prima stagione troviamo: la cuoca pedante Mrs Patmore, la sua allieva Daisy a cui però non si riesce a non voler bene, la cameriera Gwen in cerca di una vita migliore e l'autista innamorato e idealista, Branson.
Fin qui, tutto bene. Tutto può succedere, ma con 'avanzare delle stagioni, la trama inizia a diventare inquietante. Persone che muoiono (influenza spagnola ed eclampsia le morti più gettonate), gente che finisce in carcere ingiustamente,(ma poi chi lo sa!),  matrimoni interrotti e personaggi principali uccisi senza pietà, come se George R.R Martin avesse riguardato lo script prima che iniziassero a girare, ma a pensarci bene neanche questo,  visto che almeno Zio Georgie uccide con intelligenza.
E la cosa è andata tremendamente avanti e altri fatti incredibili si sono susseguiti. E sono arrivati i premi. Tantissimi premi, soprattutto dal pubblico americano che, diciamoci la verità, è un pubblico nuovo a questo tipo di serie (ringraziamo BBC America).
Non ho mai pensato che Julian Fellowes (per chi non lo sapesse è l'ideatore e sceneggiatore di DA) fosse chissà chi e si è dimostrato un grezzo esecutori dei desideri di una fetta considerevole del suo pubblico: gli americani. Gosford Park (l'opera che gli ha regalato l'Oscar alla sceneggiatura), è ben fatto e glielo devo riconoscere, ma rimane a mio avviso troppo nostalgico, troppo cupo. L'umorismo British deve essere divertente nella sua aurea "black". 
Ora, dopo questo interessante (?) simposio farcito con parole inventate, ci tengo ad elencare le cose che salverei dello show.

1. Maggie Smith








Maggie Smith è pura adorazione. Non servono parole per definire le sue piacevolissime frecciatine. 

2. Hugh Bonneville


Un uomo incompreso, che però si dimostra un personaggio abbastanza lineare, se non fosse per una certa tresca con una cameriera a cui nessuno crede. Si vede chiaramente che neanche Hugh ci crede.


 3. Gwen Dawson 


Nonostante la mia adorazione per Rose Leslie, credo che il suo sia l'unico personaggio della serie ad avere una vita normale. Ha lasciato lo show prima che riuscissero a incasinare anche il suo pg.


4. Highclere Castle


Splendido castello situato in un mondo quasi ovattato. Una gioia per gli occhi e un mondo in cui perdersi. 


Vale Jane non perdona : "A Royal Disaster "




by ValeJane



Appena apro gli occhi al mattino, ecco che mi si prospetta il programma del giorno.
La mia mente viene quindi sommersa da una valanga di pensieri sulle cose da fare, anche se l'unica soluzione realmente accettabile sarebbe poltrire sotto le lenzuola di flanella aspettando che l'ambiente esterno raggiunga una temperatura minima di 25 gradi. Quindi, dalle mie parti, se sei fortunata, più o meno Aprile, ma nella maggior parte dei casi Maggio inoltrato.
Quello che sto cercando di dirvi, in maniera molto confusa, è che fin da quando metto giù il piede dal letto, l'unica cosa che mi da sollievo nella giornata è pensare al programma serale, indi per cui, cosa guarderò sulla mia accogliente poltrona accompagnata dal mio inseparabile spirito critico.

Partiamo dal presupposto che non tutti i film sono belli. Ok, posso accettarlo. Ma c'è una cosa che odio di più dei film brutti: i film brutti che potevano essere belli. Mi riferisco a quelli che per trama, costruzione e cast potevano essere, se non dei colossal, quanto meno molto carini e piacevoli, ma che in realtà risultano essere dei ciofeconi di dimensioni inaccettabili.
E il ciofecone di oggi è "A Royal weekend".
Promette bene: guardo la programmazione, vedo il titolo. Leggo la trama, sembra interessante. Paese di produzione: Regno Unito. Ok, andata. Guardo il trailer: sono convinta.
Mi metto in postazione, e inizia la tortura.
La trama è più o meno incentrata su un solo weekend: quello del Marzo 1939, in cui il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt incontrò i Reali d'Inghilterra Giorgio VI ed Elisabetta (genitori dell'attuale Regina Elisabetta II) presso la sua casa di famiglia nello stato di New York, "Hyde Park on Hudson", che è anche il titolo originale.
Fin dall'inizio del film cominciano a sorgere i primi dubbi. Tutto molto lento, trama piuttosto confusa sul momento. Poi la lentezza diventa inesorabile. E il film scandaloso.
I personaggi sono assolutamente poco caratterizzati, presentati esclusivamente come buffe caricature senza costrutto. A partire dal Presidente Roosevelt, che sembra solamente un babbeo che si fa trascinare in braccio dalla servitù (esatto, avete letto bene,  in braccio, da una sala all'altra, facendo perdere anche quel po' di rispetto che si possa avere per una figura presidenziale americana).
Eleanor Rooesvelt, in questo film è addirittura  una lesbica esibizionista, oltretutto parecchio bipolare e molto irrispettosa della Famiglia Reale. Pare che sia in crisi con il marito, ragion per cui ora vive altrove presso una Comune di donne "alternative" (pardon, cito l'elegante definizione del segretario inglese "che se la intendono fra loro") e che si mantengono  producendo mobili. Ok, vi prego, fatemi un elettroshock immediatamente, non posso vivere un minuto di più con il ricordo di questa orribile visione.
La madre di Roosevelt, una anziana pazza con un atteggiamento decisamente eccessivamente protettivo nei confronti di un figlio di 57 anni, che non recita, ma praticamente urla dando ordini al pargolo un po' troppo maturo per tutti i 95 minuti (Giusto cielo, meno male che è solo un'ora e mezza!) di pellicola.
I Reali d'Inghilterra, orribili. Due manichini snob, solo attaccati all'etichetta e continuamente in crisi da mancanza di affetto. Re Giorgio VI, con la sua immancabile balbuzie, mostra forse una maggiore caratterizzazione, ma quel minimo di simpatia instillato negli spettatori viene immediatamente frenato da una Regina Madre assolutamente petulante, che ha come unica battuta "Bertie, tuo fratello non si sarebbe comportato così". Ora, io non sono di sicuro un genio, ma ci scommetterei quello che volete che Elizabeth Bowes-Lyon non avrebbe mai pronunciato tali assurdità: ce la vedete nel silenzio rassicurante di una stanza da letto americana con carta da parati dozzinale a preferire al marito Bertie il fratello Edward, colui che ha abdicato per seguire la gonnella di una americana divorziata? Oh, bhè, forse ho sbagliato canale.
Ma arriviamo al pezzo forte: la cugina di sesto grado di Roosevelt, Margaret Suckley, o per gli amici, Daisy. Interpretata da una bravissima, questo devo ammetterlo, Laura Linney (la ricorderete in "Love Actually"), il personaggio non ha ne arte ne parte. Non si capisce perchè compare, non si capisce che carattere ha e qual'è il suo ruolo in tutto questo. E' una compagnia innocente? E' un'amante? E' un passatempo? E' il vero amore della sua vita? Eh chi lo sa. Gli unici momenti poetici di questa donna, e del suo dramma della solitudine e del rapporto con Roosevelt sono rovinati da becere scene di sessualità gratuita e assolutamente malcelata. Volgare, pieno di doppisensi inutili, Daisy sul finale è costretta al picnic presidenziale a "spalmare la mostarda sull'hot dog di Giorgio VI". Che schifo. E non sono di sicuro una puritana: state parlando con una che si è sciroppata Game of Thrones e ai tempi della gioventù True Blood come se non ci fosse un domani. 
Il tema poteva essere ridanciano e commediale, trattato con quella agrodolce ironia che solo i sudditi di Sua Maestà sanno rendere. Voglio dire, prendete per esempio "Funeral Party": stiamo parlando di un film in cui ci sono un cadavere, un nano, un vecchio su una tazza del gabinetto, un ipocondriaco , due figli fuori di testa e un poveretto in pieno trip da acidi. Ma quando spegni il televisore hai persino male allo stomaco da quanto hai riso, e non vedresti l'ora di ricominciare da capo.
Per terminare, la ciliegina: un Roosevelt donnaiolo, assolutamente incurante delle conseguenze e delle reazioni altrui. Con un finale a sorpresa: Daisy, dopo averlo colto sul fatto con la segretaria, alla fine lo perdona e se lo dividono, da brave amiche. Insomma, una squadra di scambisti. 
E in tutto questo, la Seconda Guerra Mondiale rimane totalmente sullo sfondo, senza alcun riferimento reale se non una misera frase balbettata di Giorgio VI "Presidente, mi deve aiutare, pensi a quei poveri bambini spagnoli uccisi". 




Insomma, altro che "A Royal Weekend", questo film è un vero "Royal Disaster".



Termino il mio intervento (per la vostra gioia) con l'unica citazione che ho apprezzato di tutto il film :

" Re : - aveva accennato all'itinerario del fine settimana ...
  Segretario - lei starà nella casa dei Roosevelt, ufficialmente sarà la madre del presidente la vostra ospite ...
 Regina: - e quella del presidente di casa ?
Segretario: - lui vive qui, quando non è a Washington..
Re: - con sua madre? non ha una casa sua?
Segretario: - ha una camera ...
Regina: - e sua moglie?
Segretario: - vive in un altra casa, la propria.
Re : - e lui non ... ?
Segretario: - lei la divide con altre .... donne. Costruiscono mobili.
Regina: - chiedo scusa???
Segretario: - i mobili, li fanno, li costruiscono. Sono coppie, di quelle che se la intendono fra loro. Ehm si .... ecco .. la moglie dell'ambasciatore, dopo aver visitato Hyde Park ...
Regina : - MA SI PUO' MAI SAPERE PERCHE' LA CHIAMANO HYDE PARK??? HYDE PARK E' A LONDRA !!!! TUTTO CIO' MI CONFONDE !!! "





"Dio salvi i Reali d'Inghilterra dai pessimi film! "